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L’eredità dei basiliani nel Vibonese, dal culto dei santi alle testimonianze architettoniche

Un periodo caratterizzato dall'incontro tra la civiltà occidentale e quella orientale. L’analisi di monsignor Ramondino in un recente incontro a Cessaniti

L’eredità dei basiliani nel Vibonese, dal culto dei santi alle testimonianze architettoniche
Filippo Ramondino

La presenza dei bizantini o romani d’Oriente al Sud Italia coprì un arco temporale di circa cinque secoli. Un’epoca caratterizzata da grandi mutamenti che ebbe inizio con lo sbarco in Sicilia delle truppe di Costantinopoli nel 535 d.C. Fu l’inizio della guerra che riportò alla riconquista di tutta la Penisola assoggettata agli Ostrogoti. Nel 568 dC, l’invasione longobarda pose fine al dominio bizantino al Nord. Tuttavia, nel IX secolo, in Calabria, Puglia e Basilicata i bizantini ingrandirono il Regno. Solo l’invasione dei Normanni, nel 1071, sancì la fine dell’era bizantina nel Mezzogiorno. Sono state queste le premesse alla base dell’approfondimento “I basiliani nel territorio vibonese”, trattato in un recente convegno a Cessaniti da monsignor Filippo Ramondino. L’appuntamento si è concretizzato nell’ambito del programma eventi dedicato ai festeggiamenti di San Basilio Magno, patrono del paese. L’analisi è partita da una data, il 553 d.C. In quell’anno i bizantini conquistarono la Calabria entrando presto in conflitto con i romani pontefici: «I motivi, spiega monsignor Ramondino, sono molteplici: «In primis perchè confiscarono le masse, ovvero il patrimonio di San Pietro, in Calabria quella tropeana, silana e nicoterana. Poi perché cercarono di sostituire nella liturgia il rito greco al rito latino e assoggettare le chiese al patriarca di Bisanzio. Infine perché il Papa si oppose all’imperatore Leone Isaurico che nel 726 aveva vietato il culto delle immagini sacre, iconoclastia, in quanto ritenuto atto idolatrico. L’imperatore – specifica- reagì con la chiusura dei conventi e dei monasteri e molti monaci decisero di abbandonare la terra d’origine e emigrare in massa verso le regioni del Sud Italia».

Sulla fine del IX secolo si ebbe la rottura completa. I bizantini vollero sottrarre le chiese di Calabria all’obbedienza romana per sottometterle al patriarca di Costantinopoli: «Dalla metà del VI secolo a metà del XI, la nostra regione diventò prevalentemente un dominio dell’impero di Bisanzio e in questo periodo che assunse il nome di Calabria che fino ad allora indicava il Salento». Erano territori cruciali: «La punta dello Stivale assunse una grande importanza strategica nella politica bizantina infatti rappresentava il primo baluardo sua contro l’invasione degli arabi della Sicilia e sia dei Longobardi che scendevano dal Nord». L’imponenza musulmana non riuscì a conquistare i territori calabrese ma le forze bizantine non riuscirono a difenderle bene: «Fu proprio in questo periodo che avvenne la vera e propria fuga delle popolazioni delle coste verso l’entroterra».

Calabria terra di mezzo

La Calabria era «una terra di mezzo, quindi anche il luogo di scontro/incontro tra diverse civiltà». Quella bizantina lasciò i segni più indelebili e questo viene confermato dalla toponomastica e dal culto dei santi legati alla tradizione bizantina: San Basilio, San Leoluca, San Pantaleone, San Foca, San Filippo d’Agira, San Calogero, Santa Rosalia, Sant’Elia, San Filarete, Sant’Onofrio, San Fantino, San Leo, San Nicodemo. Insieme a tradizioni e consuetudini ancora vive come per esempio l’antidoron, il pane benedetto del giovedì santo. Di fatto, a partire dal secolo VII, la nostra regione fu meta di monaci provenienti dalla Siria, Palestina, Grecia ed Egitto a seguito delle invasioni arabe e persecuzioni iconoclaste. Testimonianze architettoniche significative nel periodo bizantino sono importanti in Calabria: la cattolica di Stilo, il battistero di Santa Severina, la chiesa di San Marco e il patirium a Rossano, e poi la chiesa di Sant’Adriano a San Demetrio Corone. La vita eremitica non era del tutto solitaria e nomade. Venivano spesso realizzate piccole chiese, perlopiù disadorne. I monaci poi, vestivano con elementari sai, e spesso erano scalzi. Erano tempi di grande povertà, le comunità vivevano con la paura degli assalti dei saraceni, con incursioni e devastazioni. Senza trascurare gli scontri continui tra Bizantini e Longobardi.

Il ruolo dei bizantini e il rifiorire dei territori

Attorno alle piccole chiese raccolsero decine e decine di famiglie di contadini. Molti paesi nacquero così: «Motivati dalla regola evangelica “ora et labora” la loro presenza si trasformò in un servizio di promozione sociale e religioso. Il loro modello di organizzazione incise sui processi insediativi e produttivi. Gli storici sono concordi con l’affermare che molti terreni abbandonati rifiorirono sotto la cura dei monaci. Molti fiumi vennero arginati, molti luoghi paludosi risanati e resi fertili, diverse zone rurali vennero collegate con ponti e strade. Il cenobio, attorniato dalle case dei coloni, era di fatto l’antica parrocchia e di questa comunità formata da monaci e laici era guida spirituale l’abate. Così doveva essere per esempio l’antico piccolo villaggio di Papaglionti (Papas Leontios). Monsignor Renzo nei suoi recenti studi (Monachesimo e santità in Calabria) ha fatto notare la diffusa presenza di monaci italo-greci in Calabria nel territorio vibonese e nella piana di Gioia e Palmi a partire già dal VI e VII secolo. Ci sono a proposito testimonianze in alcuni scritti di papa Gregorio Magno e nella vita di santi come quello di San Fantino. Papa Gregorio, più nel dettaglio, scrive a favore dei monaci di Taureana fuggiti in Sicilia con il loro vescovo Paolino a causa dell’invasione longobarde e fa un intervento per il monastero di sant’Arcangelo di Tropea. Dunque, pure il territorio delle antiche diocesi di Nicotera, Tropea e poi Mileto, si riempì di monaci tanto da poterlo qualificare come una vera e prioria regione monastica in senso classico.

Le origini del culto a San Basilio

Cessaniti, chiesa San Basilio Magno

Cessaniti rientrava nel comprensorio e vicariato di Briatico. Era suo casale insieme ad altri quindici di cui tre scomparsi dopo il XVI secolo. Il paese era solo un aggregato di piccole dimore rurali abitate da profughi provenienti dai villaggi scomparsi di Guzzigherne e Malegurne in seguito al terremoto del 1459. Nel territorio di Cessaniti c’era il monastero di santa Maria a Mantineo e quello di santa Maria del bosco a Pannaconi.

Le origini del culto a San Basilio sono da attribuirsi alla presenza sul territorio di questi monasteri e alla spiritualità da essi effusa. A Briatico sorgeva il famoso e ricco monastero basiliano dedicato a San Pancrazio il quale nei secoli XIV e XV fu oggetto di vivaci controversie tra il vescovo di Mileto, l’archimandrita di Messina e il vescovo di Umbriatico. C’era pure il monastero basiliano del Santissimo Salvatore dipendente dalla abbazia di Santa Maria de la Carra. Un altro monastero dedicato proprio a san Basilio sorgeva invece nell’antica Mesiano. Altri monasteri basiliani pre-normanni sono il San Michelangelo Arcangelo a Drapia, tra i più antichi della Calabria e quello di San Sergio e Bacco, a San Gregorio d’Ippona quello di San Nicola e san Gregorio passato ai benedettini di Mileto; Sant’Onofrio del Chao nei pressi dell’attuale Sant’Onofrio, San Fantino e San Leandro a Tropea, Santa Maria/ San Nicola a Vena di Vibo.

La fine di un’era

Il radicamento del monachesimo italo-greco in Calabria fu capillare e viene distinto in tre periodi, VI-XI secolo svolto sotto l’impero bizantino, quello dall’XI alla fine del XIII secolo, durante il quale furono creati e restaurati grandi monasteri. E l’ultimo periodo fino al XV secolo, anni di isolamento e declino. Durante questi anni, si tenne la visita apostolica voluta da papa Callisto III. Siamo nel 1457. L’obiettivo era quella di riformare la comunità superstite del monachesimo greco ormai inquadrato in un ordine basiliano strutturato alla maniera del benedettino. Altra premura era quella di portare a frutto le conclusioni del Concilio di Firenze circa l’esigenza di unione tra la chiesa greca e quella latina. Tra il 1457 e il 1458 venne attuata una visita ai principali monasteri greci di Calabria. Le tappe riguardarono Sant’Onofrio, Mesiano, Filandari, Moladi, Drapia e Ciano (Liber visitationis). I monasteri erano in rovina, c’era ormai uno stato generale di agonia e i monaci erano tutti latini. Le terre si presentavano incolte. Dopo il tragico terremoto del 1783 risultavano in Calabria solo 180 basiliani, uomini e donne. La fine di un’era.

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