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LaC Storie festeggia cento puntate

Il videoreporter Saverio Caracciolo racconta genesi, fortune e taglio stilistico del format partito il 16 giugno 2017 e che riscuote grande successo

LaC Storie festeggia cento puntate

LaC Storie spegne 100 candeline. E la fortuna del programma di LaC tv era già rintracciabile, a ben vedere, nel titolo beneaugurante della
prima puntata, “La vecchia signora”, dedicata alla locomotiva della
Sila.
L’analogia tra il treno a vapore di Camigliatello che lentamente,
ma inesorabilmente, ha macinato migliaia di chilometri, mostra più di
un’analogia con il programma più longevo di LaC tv che, grazie alla
determinazione ed all’instancabile produttività del suo ideatore,autore, realizzatore e curatore, il videoreporter Saverio Caracciolo,
“sin prisa pero sin pausa”, senza fretta ma inesorabilmente, ha
prodotto tremila ore di trasmissione e consumato decine di migliaia di
ore di “girato”.

LaC storie compie 100 puntate. Lunedì 2 marzo alle 15.30 ed alle 19.00, LaC tv – canale 19 del DDT, emittente edita dalla società editoriale Diemmecom e facente parte del network LaC di proprietà del Gruppo Pubbliemme – trasmetterà dunque la centesima puntata di un format felicissimo, i cui ascolti sono sempre stati in crescita costante. Occasione per spegnere le candeline, una puntata dedicata a “Gli ortodossi di Calabria”, viaggio alla conoscenza di una comunità antica e nobilissima, tanto centrale nella spiritualità italiana quanto periferica geograficamente. Il racconto per immagini ancora una volta si conferma piena espressione della ricerca tematica, del registro stilistico, della coerenza demoantropologica di Caracciolo, motore primo del format e marchio di fabbrica del professionista che ha firmato il suo primo LaC
Storie il 16 giugno 2017, e l’ha portato avanti sino ad oggi
senza soluzione di continuità.

Dallo speciale tg al reportage. «Nel 2016 – racconta Saverio – ogni domenica, all’interno del telegiornale di LaC tv, c’era una mia storia di tre minuti, un breve focus sulle tradizioni di Calabria. Da lì, l’idea, subito accettata dall’azienda, di dar vita ad un prodotto più corposo. Inizialmente,
pensavo ad uno spazio di 5-7 minuti, che diventarono subito 15, e che
oggi sono 30. E ancora: dal 2016 ad oggi non ci siamo mai fermati.LaC Storie è andato in onda ininterrottamente per tre anni, estate ed
inverno, feste comprese. E di questo ringrazio il gruppo Pubbliemme,
il network LaC, il mio editore Domenico Maduli, il direttore generale
Maria Grazia Falduto, che mi danno spazio, autonomia e valorizzano
il mio lavoro. Ma anche il direttore editoriale Pasquale Motta, che
ringrazio per avermi messo in contatto con la figura e le opere del
mio maestro, il documentarista calabrese Vittorio De Seta».

L’approccio antropologico. «Le mie storie non hanno voci esterne. Sono i protagonisti a raccontare loro stessi, ad accompagnare lo spettatore alla scoperta della realtà nella quale sono immersi. Ogni puntata ha un taglio
cinematografico,
le immagini sono realizzate con macchina fotografica, drone, GoPro, in autonomia. E sempre in autonomia, inizio e finisco tutto il lavoro, dalla ricerca giornalistica alle riprese, fino alla
post produzione. Quando giro, devo stare da solo. Un terzo soggetto
altererebbe l’ambiente, dove io cerco di confondermi fino a diventare
invisibile.
È come nella ricerca antropologica. Non devono esserci
filtri tra il soggetto e lo spettatore».

Premio De Seta. «La puntata che mi ha dato più soddisfazione è stata “Zingari e santi medici”, dedicata ai santi centrali nella spiritualità Rom, Cosma e Damiano. Un lavoro che mi ha fatto conquistare la fiducia della loro comunità e che mi ha portato la menzione d’onore al premio De Seta 2018. Tengo molto anche a La Pita, puntata sulla festa di Alessandria
del Carretto, e a Il Brigante, la storia di un pastore nomade e latitante, che ha passato la sua vita tra i monti, e sul quale presto uscirà un docufilm. Ma anche a La terracotta, sui vasai di Gerocarne, a I Carbonai di Serra san Bruno. Tutte puntate a me care».

Un futuro in nazionale. In futuro vorrei lavorare sul nazionale, e spero di farlo con LaC, perché sono molto legato all’azienda, e devo a lei l’esser diventato, da fotografo, videoreporter. La vena documentaristica nasce dopo aver realizzato il mio primo format televisivo, Mastri e Mestieri e da allora, lavoro praticamente 7 giorni su 7. Da studio e da casa. Non si
contano le notti che ho passato fuori, dormendo in macchina se
necessario, o condividendo tende, roulotte, camerate con i miei
protagonisti. Obiettivo riprendere con esattezza e puntualità una
storia, conquistare la fiducia di chi la racconta, farsi accettare
dalle comunità:
anche le più remote e più diffidenti».

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