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Mentre Baker Hughes, la multinazionale proprietaria dell’ex Nuovo Pignone che produce grandi turbine, decide di investire 60 milioni di euro a Corigliano Rossano per un nuovo stabilimento che sfrutti il porto, a Vibo Marina si respira ancora una volta aria di disfatta. Gli abitanti della frazione hanno le idee chiare. Conoscono e riconoscono il potenziale inespresso del loro porto: «Andrebbero realizzati gli annunciati interventi finalizzati ad eliminare il fenomeno dell’insabbiamento per potere accogliere le grandi navi. Poi andrebbero eliminati tutti questi capannoni fatiscenti. Per il resto – dice un cittadino – è un porto bellissimo». La decisione di Baker Hughes di investire altrove non piace a tutti: «Perché non hanno investito qui?», aggiunge un altro cittadino. «È l’ennesimo scippo che subisce il territorio», replica un altro. «Da 60 anni vivo qui e l’unica cosa che hanno fatto i politici che si sono succeduti è stato promettere».
Il rilancio dello scalo resta una chimera. Promesse, progetti e fondi mai spesi non mancano. Ma il nuovo porto non prende mai forma. Eppure quello che si dovrebbe fare è chiaro un po’ a tutti: risolvere il problema dell’insabbiamento, adeguare e ristrutturare le banchine, promuovere il diportismo, valorizzare il comparto pesca, mantenere e rendere funzionali i depositi costieri. I pescatori hanno le idee chiare. La riqualificazione del porto andrà a beneficio delle loro attività.
Intanto si abbatte quello che c’è di fatiscente. O almeno si prova a farlo. Tra gli interventi pianificati nello scalo portuale di Vibo Marina, quello di riqualificazione dell’area della banchina commerciale Bengasi e la demolizione dell’immobile dell’ex Civam di proprietà di Enzo Ceravolo. «Siamo qui da 50 anni, perché dovremmo andare via?», si domanda l’imprenditore.
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