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Il Corsivo | Elezioni provinciali: le scelte di Mangialavori ed i censori del segretario del Pd

Non convincono neanche i tempi scelti dalla Prefettura di Vibo per inviare Commissioni di accesso agli atti in due Comuni i cui sindaci aspiravano alla presidenza mentre nulla è stato inviato alla stessa Provincia e ancora si è in attesa per ben altri Municipi

Il Corsivo | Elezioni provinciali: le scelte di Mangialavori ed i censori del segretario del Pd
La prefettura di Vibo ed a destra il palazzo della Provincia
Mangialavori, Solano, Santelli e Pasqua nel 2018

L’ufficializzazione delle candidature a presidente della Provincia di Corrado L’Andolina, sindaco di Zambrone, per la coalizione di centrodestra e quella di Giuseppe Condello, sindaco di San Nicola da Crissa – sostenuto dal terzo polo (Azione e Italia Viva) Partito democratico, M5S e socialisti – ha chiuso la prima fase del percorso che porterà all’elezione del nuovo inquilino dell’ente provinciale. In attesa del risultato delle urne, non appare ozioso soffermarsi sugli aspetti più salienti che hanno caratterizzato il dibattito sia tra i cittadini che tra le forze politiche. Per quanto concerne il primo aspetto, occorre osservare come l’interesse maggiore sia stato riservato, più che alle dinamiche politiche, a quei fatti che, pur non essendo direttamente collegati alle prime, ne hanno influenzato il percorso. In questo contesto, non vi è dubbio che a catalizzare il dibattito sia stata la decisione del prefetto di Vibo, e soprattutto i tempi, di inviare la Commissione di accesso agli atti nei Comuni di Acquaro e Capistrano. L’interesse suscitato dalla determinazione prefettizia non sorprende, atteso che i rispettivi sindaci, Giuseppe Barilaro e Marco Martino, erano fino a quel momento in pole position per la candidatura a presidente della Provincia per la coalizione di centrodestra. [Continua in basso]

Da sinistra verso destra: Morra, il prefetto Lulli, Solano e il cugino D’Amico

Sul punto diverse sono state le perplessità esternate e le domande poste: nello specifico in tanti si son chiesti, alla luce dei ripetuti interventi del presidente della Commissione Parlamentare Antimafia Nicola Morra, perché la Commissione di accesso agli atti fosse stata inviata solamente  nei comuni di Acquaro e Capistrano e non anche alla Provincia di Vibo, il cui presidente risulta rinviato a giudizio nell’ambito del processo denominato “Petrolmafie” con l’imputazione di corruzione, estorsione elettorale, turbata libertà degli incanti in questo caso con l’aggravante mafiosa. Molte le perplessità espresse anche sui tempi scelti dal prefetto: è stato fatto osservare che era l’invio delle Commissioni, ad un mese dalla scadenza della presentazione delle candidature, avrebbe comportato per quei sindaci conseguenze politiche pesantissime le quali, nel caso in cui poi nulla dovesse emergere – ipotesi, questa, non esclusa dallo stesso prefetto nel corso di una recente intervista -, non potranno mai essere risarcite. Chiuso questo capitolo e passando a quello più specificatamente appartenente alle dinamiche politiche, diversi sono i dati sui quali soffermarsi. Per quanto riguarda il centrodestra, non vi è dubbio che i giochi siano stati condotti, pur rimanendo dietro le quinte, dall’on. Mangialavori, il quale è stato costretto ad affrontare più problematiche la cui origine può essere sostanzialmente ascritta a due ordini di motivi: il gran numero di sindaci ai quali in occasione delle recenti consultazioni politiche era stata promessa la poltrona di presidente della Provincia ed il consenso nei confronti di Forza Italia e della sua persona, che non è più quello della  precedente tornata.

La Provincia di Vibo e nei riquadri Giuseppe Condello e Corrado L’Andolina

Entrando nel merito delle singole tematiche, va detto che erano sei i sindaci (Martino, Barilaro, Pititto, Farfaglia, Signoretta e L’Andolina) aspiranti, sulla scorta delle promesse ricevute, alla candidatura e pertanto non era semplice sfoltire la schiera senza suscitare “pericolosi” malumori e conseguire al contempo quello che era il vero obiettivo fin dall’inizio: la designazione di L’Andolina. I primi due sindaci sono stati “fatti fuori” sfruttando la provvidenziale iniziativa prefettizia di cui si è detto, mentre per Pititto, Farfaglia e Signoretta –  rispettivamente sindaci di Pizzo, San Gregorio d’Ippona e Ionadi – si è fatto ricorso alla ritenuta mancanza di esperienza amministrativa, riconosciuta invece al sindaco di Zambrone. La consapevolezza di probabili “ritorsioni” nelle urne da parte di qualcuno dei cinque turlupinati e la necessità di accrescere le chances del proprio pupillo hanno poi spinto Mangialavori a presentarsi col cappello in mano da De Nisi per ottenerne il sostegno. Metodi e procedure che non rappresentano certo una novità, ricalcando il solito modus operandi del parlamentare, concretizzatosi anche in questa circostanza col “cestinare” coloro i quali non sono più funzionali ai suoi progetti. Oggi è toccato ai sindaci, ma in passato vi sono stati esempi ancor più illustri, in tal senso basti ricordare le vicende legate a De Nisi ed a Pitaro. Il primo, dopo aver sostenuto Mangialavori in occasione della sua elezione a senatore, è stato poi boicottato da quest’ultimo quando si candidò, senza successo, al Consiglio Regionale; il secondo invece è stato abbandonato a se stesso dal parlamentare il quale, nella veste di coordinatore regionale di Forza Italia, gli ha precluso la ricandidatura alla Regione. Abbiamo deciso di attardarci su tutte queste sfaccettature in quanto riteniamo che le stesse nel loro complesso potrebbero essere fonte di qualche sorpresa nel segreto delle urne, eventualità, questa, che rappresenterà una marcia in più per il candidato del fronte avverso. Ancor più travagliata la designazione di Giuseppe Condello, che solo in extremis è riuscito a far sedere intorno ad un unico “tavolo” Azione, Italia Viva, M5S, socialisti e Partito Democratico. [Continua in basso]

Quest’ultima formazione politica, anche in questa circostanza, non si è fatta sfuggire l’occasione per ritagliarsi il ruolo di protagonista in negativo. Una guerra fratricida fatta di accuse incrociate ed insensati attacchi al segretario provinciale così poveri di contenuti innovativi rispetto al solito cliché del tutti contro tutti, che non varrebbe la pena neppure di commentarli se non fosse che alcune affermazioni fanno veramente cadere le braccia. Ci riferiamo in modo specifico alle accuse rivolte a Di Bartolo dall’ex consigliere regionale Luigi Tassone e da alcuni sindaci ed amministratori vari, tra i quali spicca il sindaco di Arena, Antonino Schinella. Il primo, tra le altre cose, accusa il segretario provinciale di aver calpestato la democrazia interna e le regole basilari su cui si basa il partito; ci chiediamo se Tassone parli della stessa “democrazia interna” e delle stesse “regole basilari” che egli intendeva salvaguardare in occasione dell’ultimo congresso provinciale attraverso le centinaia di tessere annullate per la violazione di norme dell’apposito regolamento. Quanto a Schinella, che rimprovera a Di Bartolo di aver svilito il ruolo degli amministratori locali del Pd, riteniamo che tale “svilimento” non abbia avuto certo bisogno dell’operato del segretario provinciale per concretizzarsi, essendo stata più che sufficiente la sottoscrizione, proprio da parte dello stesso sindaco di Arena, di un documento a sostegno della nomina a sottosegretario dell’on. Mangialavori, leader provinciale e regionale di Forza Italia. La realtà è molto diversa e poggia su variegate sfaccettature: su tutte, la circostanza che nel partito non militano più i vari Bruni, De Nisi, Censore, Giamborino, Soriano padre e, da ultimo, pure l’abbandono di Luciano, mentre al loro posto vi sono personaggi dal limitato spessore politico, come Tassone e Schinella. A fronte di questa situazione, riteniamo che “l’operazione” portata a termine dal segretario provinciale fosse l’unica possibile per evitare il bis della scorsa volta, quando il Pd, proprio con la candidatura del sindaco di Arena, partì sconfitto ancor prima dell’apertura del seggio elettorale.

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