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L’inchiesta | Comunità montana dell’Alto Mesima-Monte Poro verso il tramonto tra montagna vera e finta

Vanno ancora estinti i mutui mentre la Regione si prende un altro anno di tempo a dieci anni dall’avvio della liquidazione. E non se la passa meglio neppure la Comunità montana delle Serre. Storia e paradossi di due enti locali affossati dalla politica

L’inchiesta | Comunità montana dell’Alto Mesima-Monte Poro verso il tramonto tra montagna vera e finta

Attaccate, criticate, in eterna “osservazione”, indicate come “summa massima” degli sprechi e della mala amministrazione, per le venti Comunità montane calabresi è forse arrivata l’ora della verità. Dopo undici anni dall’avvio della procedura di liquidazione, almeno quattro Comunità montane calabresi sono destinate a sparire e tra queste – oltre a Versante dello Stretto, Versante tirrenico settentrionale e Tirreno Meridionale – anche la Comunità montana dell’Alto Mesima-Monte Poro. Salvo “sorprese”, l’ultima proroga della legge fissa al 31 dicembre 2024 la chiusura di tutte le procedure. Contabilizzati i debiti con l’Inps e valorizzati i beni rientranti nel patrimonio delle Comunità montane ma non più utilizzati, si è cercato con tali risorse finanziarie di pagare i mutui accesi con la Cassa depositi e prestiti. Nel frattempo, i 270 dipendenti delle Comunità montane calabresi sono transitati con Calabria Verde. Due le Comunità montane del vibonese: quella delle Serre e quella dell’Alto Mesima. Nel 2007, però, il Governo ha ordinato con la Finanziaria il taglio degli enti montani, dando tempo alle Regioni di provvedervi entro il 30 giugno 2008. Fedeli al motto “chi va piano va sano e va lontano”, l’allora assessore regionale Liliana Frascà approntò la proposta di modifica delle Comunità montane (da 26 dovevano passare a 17) solo il 22 giugno 2008, facendola giungere in Commissione “Affari istituzionali” quattro giorni dopo. Qui il 30 giugno successivo i consiglieri regionali non trovarono di meglio che resuscitare in vita altre tre Comunità: quella di “Reggio-Cinquefrondi”, “Cosenza-Unione delle Valli” e la vibonese “Vibo Monteporo-Alto Mesima”. Come dire: contenimento della spesa sì, ma non troppo.

Un passo indietro

Eppure, per la provincia di Vibo era stato previsto l’accorpamento delle due Comunità montane (Alto Mesima e Serre) in un unico ente con sede a Serra San Bruno che avrebbe dovuto ricomprendere i comuni di Acquaro, Arena, Sorianello, Brognaturo, Capistrano, Fabrizia, Filadelfia, Mongiana, Monterosso, Nardodipace, Polia, San Nicola da Crissa, Serra San Bruno, Simbario, Spadola e Vallelonga. Fuori, invece, Dasà, Dinami, Gerocarne, Pizzoni, Soriano, Vazzano e Joppolo, tutti prima nella Comunità montana dell’Alto Mesima.
Su soli 16 articoli della legge “Frascà”, in Commissione regionale si registrarono però ben 80 emendamenti, tutti finalizzati ad adottare nuovi criteri per definire “montano” un Comune. Così, con i telefonini dei consiglieri regionali letteralmente impazziti per far fronte alle innumerevoli pressioni di sindaci, assessori e consiglieri comunali preoccupati di far rientrare il proprio Comune all’interno delle Comunità montane, alla fine ne uscì fuori un “pastrocchio giuridico”.
All’accorpamento delle due Comunità montane vibonesi
, che doveva portare all’eliminazione di sei comuni – oltre a Joppolo che con l’Alto Mesima non si è mai capito cosa avesse a che fare -, l’allora consigliere regionale Pietro Giamborino rispose con il mantenimento dell’ente dell’Alto Mesima, allargato però ai Comuni del Poro. Una proposta accolta dalla maggioranza anche perché, secondo le cronache dell’epoca di palazzo Campanella, la presenza di Giamborino servì a garantire in Commissione il numero legale.

Nuovi criteri

I criteri per far parte di una Comunità montana vennero così ridefiniti: territorio comunale per almeno il 55% sopra i 500 metri sul livello del mare, oppure ubicazione “congiunta” della sede municipale sopra i 300 metri ed il 33% del territorio sopra i 400 metri. Fuori dalla Comunità dell’Alto Mesima restarono quindi Dasà, Dinami ( pur se la frazione di Monsoreto supera i 600 metri di altezza e parte del territorio fa parte del Parco antropico di Galatro), Pizzoni, Gerocarne (nonostante la “porta occidentale” del Parco delle Serre ricada nella frazione di Ariola), Soriano Calabro (che pure era sede dell’ente), Vazzano e Joppolo. Dentro invece: Filandari, Ionadi, Rombiolo, San Gregorio d’Ippona, Spilinga, Zaccanopoli e Zungri, accanto ai già presenti Acquaro, Arena e Sorianello, quest’ultimo scelto quale nuova sede della Comunità montana al posto di Soriano.

Paradossi

Con San Gregorio d’Ippona nuovo “Comune montano”, Ionadi e Zaccanopoli alle prese con alte vette di montagna da tutelare (si fa per dire) dall’alto dei loro, rispettivamente, 430 e 400 metri, e con Spilinga a due passi da Capo Vaticano ma con la sede del Municipio sopra i 300 metri, per il Vibonese è cambiato poco o nulla. Ed a conferma di ciò, lo stesso relatore della legge di riordino, l’allora consigliere regionale Antonio Acri, così si espresse già nel 2008: “Questa legge è insoddisfacente perché le Comunità montane continueranno ad avere vita grama, spenderanno l’80% delle risorse per il funzionamento e il 65% per il personale; voto solo per disciplina di partito – concluse Acri –, ma siamo dinanzi ad organismi senza funzioni e senza incidenza sul territorio”.

La politica delle poltrone e degli sprechi

Negli anni nelle Comunità montane del Vibonese si è visto davvero di tutto, con crisi politiche continue e diversi mesi per decidere chi eleggere alla presidenza dell’ente. Se poi si va a spulciare fra i bilanci si trova qualunque cosa: da progetti per la “tutela dell’infanzia e l’adolescenza” – inventato in passato dalla Comunità montana dell’Alto Mesima – sino a progetti per la diffusione di internet. Per non parlare poi delle somme elargite dalla Comunità dell’Alto Mesima alle più svariate associazioni e persino alle parrocchie. Tutte spese e progetti che con la tutela della montagna non hanno nulla a che vedere. Eppure la montagna vibonese, quella vera però, avrebbe realmente bisogno di aiuto, visto che paesi come Fabrizia o Nardodipace si vedono ancora oggi tagliati fuori da ogni collegamento degno di tal nome. Ma proprio per questo spicca l’indecenza della montagna finta: quella inventata sulla carta. Quella artificiale e clientelare, quella che sinora è stata costruita a tavolino solo per poter dispensare qualche posto di sottogoverno ai tanti imboscati della politica.

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