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Politiche 2018 | Rosatellum, la nuova legge e il limbo della partitocrazia

Tutto ciò che c’è da sapere sul sistema elettorale con il quale gli italiani andranno al voto il prossimo 4 marzo. Genesi, motivazioni e obiettivi di una norma che rischia d’ingenerare una confusione senza precedenti

Politiche 2018 | Rosatellum, la nuova legge e il limbo della partitocrazia

Il 4 marzo l’Italia va al voto. Dovrebbe essere la festa della democrazia, sarà, verosimilmente, il limbo della partitocrazia.  Ed invero, poche sono le certezze, sia sul “per chi” votare,  sia  sul “come” farlo. Tralasciando il “per chi”, che è questione politica, è utile concentrarsi sul “come”, argomento che porta alla nuova legge elettorale, recentemente approvata. Una premessa: le leggi elettorali sono né buone né cattive, sono, per definizione, neutre. Detto altrimenti, allo start tutti hanno pari opportunità. E’ lecito, certo, sospettare aderenze all’una o l’altra forza politica, tuttavia, come l’esperienza insegna, in materia  di elezioni nulla è premesso e tutto è da farsi. Detto questo, sarà utile un passo indietro. Come sempre, la storia rivelerà qualcosa. 

Parola d’ordine: semplificare. Dopo la crisi generata da “Mani Pulite”, siamo negli anni 1992/93, il Parlamento decise di abbandonare il modello proporzionale, da tutti ritenuto origine e causa delle corruttele nazionali, per consegnarsi ad un modello misto, il “Mattarellum”, per ¾ maggioritario a turno unico, per ¼ proporzionale con listino bloccato, ovvero senza preferenze. Auspicio della riforma era che il nuovo sistema avrebbe semplificato il quadro politico, prodotto la fusione dei partiti minori e migliorato la governabilità del Paese, con la creazione di maggioranze certe e non contendibili. I risultati non furono pari alle attese. Si ebbero, certo, le coalizioni, ma non si spensero i partiti, uniti da un solo scopo, vincere. Così accadde che, nel ‘94, prevalse la prima coalizione Berlusconi che, d’accordo su nulla, nel ‘95 cadde, lasciando campo libero al governo Dini. Stessa sorte nel ‘96. Vinse Romano Prodi impallinato dai suoi stessi figli nel ‘98. Seguirono due governi di mezzo, guidati da Massimo D’Alema e Giuliano Amato, che chiusero la legislatura. Nel 2001, vinse la seconda coalizione Berlusconi che, munita di solidi numeri, governò per cinque anni. 

Ritorno al proporzionale. A questo punto, cambia lo scenario. Si torna al proporzionale, con  il “Porcellum”, gentilezza semantica derivata  da “porcata”, definizione dello stesso autore della legge, Calderoli. Spariscono le preferenze e si prevede un nutrito premio di maggioranza per la lista o coalizione vincente. Rimane tuttavia il nerbo: per vincere occorre coalizzarsi, ad ogni costo. Così, nel 2006, vince di nuovo Prodi, alla testa di un’alleanza cucinata con ingredienti non propriamente coesi, che si sbriciola appena due anni dopo. Nuove elezioni ed ecco la terza coalizione Berlusconi, implosa già nel 2011. E’ la volta di Monti e dei sui tecnici che, tra lacrime e sangue, ci traghettano sino al 2013. Si vota e, grazie all’ennesima coalizione farlocca, vince il centrosinistra (ma il primo partito è il Movimento 5 stelle), in diaspora  già qualche  giorno dopo.  Non rimangono che le larghe intese, prima  con Letta, poi con Renzi, infine con Gentiloni.  In mezzo, due eventi importanti. Il primo, è la sentenza della Corte Costituzionale n. 1/14, che boccia il “Porcellum”, sia quando assegna il suo premio di maggioranza al di fuori di ogni regola, sia quando prevede la formazione  di un Parlamento di nominati.  Il secondo è l’“Italicum”, legge approvata nel 2015, che reintroduce, seppur in parte, le preferenze ed assegna un premio di maggioranza alla lista o coalizione capace di raggiungere la soglia del 40 per cento, salva necessità di  ricorrere ad un secondo turno. L’“Italicum” non avrà modo di inverarsi. La Corte Costituzionale la sforbicerà in più punti: il premio di maggioranza nel secondo turno, privo  di soglia minima di accesso; la possibilità dei multi eletti di scegliere il collegio di preferenza. Ne rimarrà, tuttavia, un modulo coerente, il “Consultellum”, con impianto proporzionale e ripristino delle preferenze. Sembrava fatta. Ed invece no. A colpi di voti di fiducia, si dà vita ad un ennesimo modello elettorale, capitanato dall’On. Rosato,  da cui la definizione “Rosatellum”. E’ il novembre 2017 e mancano circa tre mesi alla fine della legislatura. 

Chi brinda, chi spera e chi prega. Di che si tratta? E’ un sistema misto, molto proporzionale (2/3), meno maggioritario (1/3). La quota maggioritaria è a turno unico, dunque il seggio è conteso all’interno di un collegio, in cui vince il candidato che conquista un voto in più.  La quota proporzionale, invece, si svolge all’interno di collegi plurinominali, cui partecipano liste o coalizioni cui sono associati candidati in ordine di  priorità. Scompaiono, dunque, le preferenze. In compenso, uno stesso candidato può essere  presentato in ben 5 collegi  proporzionali e, se eletto in più di uno, per paradosso otterrà il seggio dove avrà ottenuto il risultato peggiore. Non solo, quello stesso candidato potrà concorrere anche nel maggioritario, portando il numero di candidature a 6. Come si rimane eletti nel proporzionale? Un primo passo è sommare, a livello nazionale (per la Camera) ed a livello regionale (per il Senato), i voti raccolti da ciascun partito o coalizione.  Ne scaturisce la cifra elettorale e la percentuale spettante ad ogni lista/coalizione. Su quella percentuale si opererà la ripartizione dei seggi, regione per regione e collegio per collegio. Prima, tuttavia, occorrerà valutare il superamento delle soglie di sbarramento, fissate al 3% per le liste che concorrono da sole, al 10% per le coalizioni, al 3% per ciascuna lista in coalizione. Sunteggiando: se la coalizione non supera il 10% non otterrà seggi; se la coalizione supera il 10%, ma nessuna delle liste va oltre il 3%, non otterrà seggi; se la coalizione supera il 10%, ma una lista non supera la soglia del 3%, i voti di questa andranno ripartiti a vantaggio delle liste coalizzate, in proporzione alla cifra elettorale di ciascuna. Infine, saranno eletti i candidati secondo l’ordine di posizionamento in lista. Insomma, al primo posto si brinda, al secondo si spera, al terzo si prega. 

La legge del “togliere”. Ora tocca spiegare un ultimo punto, il più perfido. Il “Rosatellum” è certamente la legge del togliere. Ha tolto le preferenze, ha tolto, con lo sbarramento al 3%, il “diritto di tribuna”. Infine, ha ulteriormente ridotto quel che restava della libertà di voto. Come? Con il voto congiunto. Chi vota una lista/coalizione  al proporzionale vota, automaticamente, il candidato della lista/coalizione  al maggioritario. E viceversa chi vota il candidato di una lista/coalizione al maggioritario, vota, automaticamente, la lista/coalizione al proporzionale. Insomma, l’elettore vota e la legge sceglie. 

Perché? Detto del “come”, non rimane che occuparsi del “perché”. Perché l’hanno fatta? Magari avranno pensato che, con il mix proporzionale-maggioritario, avremmo avuto maggioranze stabili e governi più forti. Non è così, mancando un premio di maggioranza, la ripartizione dei seggi ripeterà, fedelmente, la diaspora elettorale del Paese. Né la sola quota maggioritaria (1/3) potrà consentire di traguardare l’agognato 51% dei consensi. Non ce ne sono né le evidenze tecniche, né quelle politiche. Dunque, perché? Mistero. Forse una questione estetica. Una legge elettorale, avranno pensato, non può avere una paternità giurisdizionale, il “Consultellum”, ma deve scaturire dalla fonte parlamentare. A giudicare dal risultato, meglio sarebbe stato lasciar perdere. 

Voto funzione della democrazia. Credo, temo, spero che la Corte Costituzionale avrà da compiere del lavoro su questo “Rosatellum”.  Perché una legge elettorale non si scrive a pochi mesi dal voto (si leggano, per tutte, le raccomandazioni della Commissione di Venezia, a proposito delle nuove leggi elettorali: beneficiare di una certa stabilità al fine di non apparire come oggetto di manipolazioni partitiche). Perché una legge elettorale dovrebbe includere, non escludere. Perché il voto è funzione primaria della democrazia, secondo le parole scolpite dai nostri Costituenti, non strumento del principe, come oggi appare ed è. 

*Avvocato e scrittore, esperto di diritto amministrativo 

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