In una terra in cui la sanità vive una delle sue stagioni più difficili, tra reparti che chiudono, servizi che si riducono e un senso diffuso di sfiducia, arriva una testimonianza che squarcia il rumore delle polemiche e restituisce dignità a chi, ogni giorno, continua a lavorare in trincea.
È la lettera di Maria Antonietta Del Giudice, un racconto di intima gratitudine che diventa anche un atto pubblico di riconoscenza verso il personale sanitario dell’Ospedale di Vibo Valentia.
«Ci sono momenti in cui la vita si ferma. Momenti in cui il tempo sembra trattenere il respiro insieme a te». Così si apre una storia che parla di paura, di attese, di un lungo percorso tra corsie e sale operatorie. Un cammino iniziato due anni fa e culminato in un giorno preciso, «lo scorso lunedì 22 dicembre», quando «in un attimo ho visto spalancarsi davanti a me l’ombra più buia».

Eppure, nel momento in cui tutto sembrava perduto, la solitudine non ha avuto spazio. «Proprio in quell’istante sospeso, quando il mondo sembrava crollare, non ero sola. Accanto a me c’erano degli angeli». Angeli veri, concreti, «in carne e ossa, con il camice addosso e lo sguardo vigile di chi sa leggere il dolore prima ancora che venga pronunciato».
Parole che assumono un peso ancora maggiore se lette nel contesto della sanità vibonese, spesso raccontata solo attraverso le sue carenze strutturali e organizzative. «Un luogo di cui troppo spesso si parla male, un nome che genera diffidenza», ammette la stessa autrice, riconoscendo un timore condiviso da molti cittadini. Ma poi arriva la svolta: «Oggi, però, sento il dovere, il bisogno profondo, urgente, di dire pubblicamente quanto mi sbagliassi».
Il cuore della testimonianza è il reparto di Chirurgia, «guidato con grandissima competenza e cuore dal primario dott. Zappia», descritto come una realtà fatta non solo di professionalità, ma di umanità autentica. «Ho incontrato sguardi che rassicurano più di mille parole, sorrisi capaci di curare l’anima prima ancora del corpo, mani che ti sorreggono quando la paura diventa troppo pesante da portare da sola».

In un sistema spesso impoverito di risorse, emerge la ricchezza più grande: le persone. Il ringraziamento si allarga a tutti, senza distinzioni: «Ai medici, agli infermieri, agli Oss, al personale delle pulizie». Perché, scrive Maria Antonietta, «ognuno di voi ha fatto molto più del proprio dovere». Un’umanità che si traduce in gesti semplici ma decisivi: «Mi avete fatta sentire vista, ascoltata, considerata».
La lettera diventa così un controcanto rispetto alla narrazione dominante di una sanità al collasso. Sì, la crisi esiste ed è profonda. Ma dentro quella crisi continuano a operare donne e uomini che non rinunciano alla propria missione. «Spesso senza clamore, spesso senza riconoscimenti», come sottolinea l’autrice, che affida la sua gratitudine a parole cariche di fede e memoria: «Vi porto nel cuore con una gratitudine che non so contenere nelle parole».
E infine, un messaggio che va oltre il singolo caso e parla a un intero territorio: «Siete l’orgoglio di questa terra». In una Calabria che troppo spesso si racconta solo attraverso le sue ferite, questa storia ricorda che, anche tra le macerie di un sistema in difficoltà, ci sono mani che salvano, sguardi che curano, “angeli” che restituiscono alla vita.