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‘Ndrangheta: inchiesta contro il clan Bonavota-Arone, i nuovi indagati e i legami insospettabili

Trema il mondo imprenditoriale e la politica sull’asse Calabria-Piemonte. Ecco le coperture del clan di Sant’Onofrio. Coinvolti commercialisti, consulenti finanziari, "colletti bianchi" e diversi prestanome

‘Ndrangheta: inchiesta contro il clan Bonavota-Arone, i nuovi indagati e i legami insospettabili

Lavori edili, compartecipazioni in società di ogni tipo e soprattutto la capacità di intestare fittiziamente i propri beni al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale. Così il clan Bonavota, attraverso la famiglia Arone, da Sant’Onofrio avrebbe esteso i propri affari in Piemonte penetrando nel tessuto economico e produttivo del Torinese. E dall’inchiesta spuntano nuovi indagati, con società che avevano alle proprie dipendenze (il tutto in maniera fittizia, ovviamente) anche i fratelli Pasquale e Nicola Bonavota. Il primo attualmente irreperibile, il secondo in carcere in quanto entrambi condannati in primo grado all’ergastolo a Catanzaro (il 23 novembre scorso) per gli omicidi di Raffaele Cracolici (il boss di Maierato ucciso il 4 maggio 2004 a Pizzo) e di Domenico di Leo (ucciso a Sant’Onofrio il 12 luglio 2014).

Francesco Mandaradoni, 53 anni, di Moncalieri (To), è stato infatti arrestato poiché – quale titolare di fatto delle società Build Up srl, Cdm Costruzioni srl e Cvna srl – avrebbe consentito al sodalizio degli Arone (trasferitisi da Sant’Onofrio a Carmagnola) di accrescere la propria forza economica e la propria capacità di intimidazione, attraverso il conseguente rafforzamento del legame con la cosca Bonavota, effettuando regolari pagamenti – quota parte dei profitti – ad Antonio Serratore, ed assumendo fittiziamente alle dipendenze della Build Up Nicola Bonavota, Pasquale Bonavota e lo stesso Antonio Serratore, accettando così la spartizione dei lavori e dei cantieri a Carmagnola decisa nel settore edilizio dalla ‘ndrina degli Arone-Bonavota. Il tutto in un arco temporale che va dal 2013 a tutto il 2015. [Continua dopo la pubblicità]

Intestazione fittizia di beni è poi l’accusa mossa nei confronti di Vito Tamburro (indagato a piede libero) e Salvatore Arone. In concorso fra loro – per agevolare il clan Arone – avrebbero fittiziamente attribuito la ditta “T.V. di Vito Tamburro” al solo Tamburro, occultando la compartecipazione, quale socio occulto, di Francesco Arone, 58 anni, fratello di Salvatore, al fine al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure prevenzione patrimoniale. Francesco Arone, nell’ambito dell’operazione antimafia “Carminius”, è stato arrestato. 

Lo stesso Francesco Arone, quindi, in concorso con Domenico Belsito di 37 anni, e Domenico Belsito di 53 anni, sono indagati per il reato di intestazione fittizia di beni con l’aggravante dell’agevolazione di un’associazione mafiosa. In particolare avrebbero concorso ad attribuire fittiziamente ai soli Domenico Belsito (cl. 82) e a Varau Petrica Ionel la partecipazione nella società “Va. Be Costruzioni di Varau Petrica Ionel & C”, occultando la compartecipazione, quale socio di fatto occulto di Francesco Arone. Il tutto sarebbe avvenuto a Villanova d’Asti dal novembre 2016 al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniale.

Nicola Bonavota

Salvatore Arone e Alessandro Longo sono poi indagati per aver fittiziamente attribuito, secondo l’accusa, le partecipazioni societarie del gruppo “Albeacars srl a Fabio Lumicisi (50%) ed a Francesco Terranova (50%), occultando – scrivono i magistrati – la loro compartecipazione in detta società, quali soci di fatto occulti”. Il tutto al fine di eludere il 9 settembre 2016 a Carmagnola le disposizioni di legge in materia di prevenzione patrimoniale.
Per Basilio Defina, 53 anni, di Sant’Onofrio, detto “Vasili i Palumba”, residente a Torino (arrestato nell’operazione “Carminius” ) e Giovambattista Primerano (indagato a piede libero) l’accusa è invece quella di aver fittiziamente attribuito a Orlando Priamo nel settembre del 2015 la carrozzeria “Forma sas di Lucisano Alessandro & C” con sede a Vinovo (To). Di fatto, però, ad avviso dei magistrati antimafia di Torino, la carrozzeria sarebbe appartenuta a Basilio Defina.

A Raffaele Arone, 44 anni (nipote di Franco Arone) viene invece contestata l’accusa di intestazione fittizia di beni con gli indagati a piede libero Carmelo Costa, Andrea Perri, Giustina Salvatore (moglie di Raffaele Arone) e Natale Saporito (zio di Andrea Perri). In particolare, la società “C.F. Trasporti srl” con sede a Torino appartenente, secondo l’accusa, allo stesso Raffaele Arone, Carmelo Costa e Andrea Perri, sarebbe stata fittiziamente attribuita nel novembre del 2016 a Giustina Salvatore e Natale Saporito.

Infine, Raffaele Arone, Domenico Cichello, Fabrizio Solimeno, il commercialista Gianmaria Gallarato, il commercialista Marco Podda e Daniele Interrante sono indagati con l’accusa di aver emesso fatture false della società Slm Marketing srl al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, e segnatamente avrebbero emesso tra il 2015 e la fine del 2016, fatture per un ammontare complessivo non inferiore ad 289.700 euro. La società, secondo l’accusa, sarebbe stata promossa da Raffaele Arone e Domenico Cichello, tenendo “i rapporti e coordinando le azioni illecite con gli altri concorrenti nel reato”. Daniele Interrante è invece accusato di aver tenuto i collegamenti con i beneficiari delle e gli altri concorrenti del reato fra i quali il commercialista Marco Podda che avrebbe fornito – ad avviso dei magistrati – i nominativi di aziende compiacenti. A prestarsi per fare il “formale amministratore della società” sarebbe stato Fabrizio Solimeno. 

A creare e gestire la società sarebbe stato invece Gianmaria Gallarato che ne avrebbe curato la regolarità formale “predisponendo falsa documentazione e fornendo consulenza professionale tecnico contabile. Gianmaria Gallarato, 28 anni, di Coazze (To), titolare dell’omonima ditta individuale, e ragioniere commercialista, che è stato arrestato, viene ritenuto dai magistrati il “colletto bianco a disposizione degli Arone ed in particolare di Raffaele Arone”. Secondo i magistrati, Gianmaria Gallarato “nella consapevolezza di collaborare con soggetti appartenenti o vicini alla ‘ndrangheta”, non si sarebbe limitato a fornire le proprie prestazioni professionali, divenendo un collaboratore fidato e un punto di riferimento, “fornendo anche supporto logistico come nel caso del rapporto con Giovanni Barone, nella consapevolezza che quest’ultimo fosse stato inviato in Piemonte dagli esponenti di vertice della cosca Bonavota di Sant’Onofrio”.

Per la Dda di Torino diviene a questo punto “fondamentale evidenziare come Gianmaria Gallarato ha avviato la collaborazione con Giovanni Barone sotto il coordinamento di Francesco Santaguida e Raffaele Arone, entrambi espressione della cosca Bonavota”. In tali dinamiche, per il gip di Torino un ruolo “di assoluto rilievo è risultato quello di Francesco Santaguida, nipote di Antonino e Basilio Defina”, tali ultimi due arrestati e ritenuti esponenti di spicco del clan Bonavota prima a Sant’Onofrio. Francesco Santaguida avrebbe in particolare fatto da “trait-d ‘union tra Barone e gli Arone (Francesco e Raffaele) e, successivamente, avrebbe svolto il ruolo di referente per tutte le attività svolte da Giovanni Barone che, “in considerazione dei rapporti tra Barone e i Bonavota – rimarca il gip – non può che essere stata svolta su incarico di questi ultimi”. Giovanni Barone dagli inquirenti dell’inchiesta “Carminius” viene indicato come vicino a Nicola Bonavota ed a Francesco Santaguida, quest’ultimo oltre che nipote di Antonino e Basilio Defina, entrambi arerstati, è anche figlio dell’attuale vicepresidente del Consiglio comunale di Sant’Onofrio Fortunato Santaguida.

Per quanto riguarda invece Giovanni Barone, lo stesso “non si è stabilito in maniera fissa a Torino – scrivono i magistrati – ma ha continuamente viaggiato tra la Calabria, il Veneto, la Liguria, il Piemonte e la Lombardia, preferendo alloggiare in albergo, visti i continui spostamenti”. In tale scelta, secondo gli inquirenti, Giovanni Barone (che non è indagato nell’inchiesta della Dda di Torino) sarebbe stato “costantemente accompagnato da Francesco Santaguida, il quale frequentemente, mediante la sua autovettura Volkswagen Golf, l’ha accompagnato nei suoi spostamenti in giro per l’Italia”. Giovanni Barone, 49 anni, originario di Roma ma residente per un certo periodo a Pizzo Calabro, di professione consulente finanziario, è stato condannato dalla Corte d’Appello di Venezia per la sottrazione, fra il 2008 d il 2010, di parte della liquidità di una società di costruzioni del Veronese (con un fatturato fra il 1992 ed il 2007 nell’ordine di 8 milioni di euro), di cui era uno degli amministratori liquidatori. Il tutto, secondo la magistratura, al fine di evitare di saldare i debiti con i fornitori e garantirsi la disponibilità illegale di denaro contante. Proprio per questo, dopo la condanna, nel 2015 è stato arrestato dai carabinieri di Pizzo Calabro. Sul suo conto esistono anche delle interrogazioni parlamentari che chiedevano spiegazioni al ministro dell’Interno in ordine alla sua presenza in Lombardia. Legami ad alti livelli, quindi, quelli del clan Bonavota-Arone, svelati ora dalla Dda di Torino e che non stanno facendo dormire sonni tranquilli alla zona “grigia” dell’imprenditoria sull’asse Calabria-Piemonte ed alla politica tanto vibonese (con specifico riferimento a Sant’Onofrio) quanto piemontese.  In foto: i fratelli Pasquale e Nicola Bonavota       LEGGI ANCHE: ‘Ndrangheta: il clan Arone-Bonavota e le pressioni sugli amministratori in Piemonte

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