Rinascita Scott: ecco perché la Cassazione ha accolto il ricorso di Luigi Mancuso nella ricusazione di due giudici
La Suprema Corte sottolinea gli errori della Corte d’Appello di Catanzaro nel respingere la richiesta dell’imputato nei confronti dei magistrati Cavasino e Romano. I due togati avevano presentato richiesta di astensione dal maxiprocesso dopo aver emesso la sentenza Nemea nella quale hanno già definito l’imputato quale capo del Crimine vibonese
Depositate dalla prima sezione penale della Cassazione le motivazioni con le quali il 31 maggio scorso è stato ordinato un nuovo giudizio alla Corte d’Appello di Catanzaro in ordine alla ricusazione di due giudici del maxiprocesso Rinascita Scott – la presidente Brigida Cavasino ed il giudice Gilda Romano – presentata da Luigi Mancuso, assistito dagli avvocati Paride Scinica e Francesco Calabrese. In precedenza – il 9 giugno 2021 – la Corte d’Appello aveva dichiarato inammissibile la ricusazione presentata dalla difesa di Luigi Mancuso nei confronti dei due giudici del Tribunale collegiale di Vibo Valentia che in precedenza hanno emesso la sentenza per l’operazione Nemea-Rinascita Scott (riunite in un unico procedimento) nei confronti del clan Soriano di Filandari, delineando nelle motivazioni della sentenza anche la figura dello stesso Luigi Mancuso, ritenendolo il capo del “Crimine” della provincia di Vibo, struttura di ‘ndrangheta riconosciuta dal “Crimine di Polsi”. [Continua in basso]
La Corte d’Appello aveva respinto la ricusazione sostenendo che nella sentenza Nemea non vi era stata una valutazione di merito in ordine alla posizione di Luigi Mancuso. Tale decisione è stata però annullata con rinvio dalla Cassazione e la difesa di Mancuso ha sostenuto che il reato associativo contestato sia nell’operazione Nemea, quanto in Rinascita Scott, coincide ed uno dei due magistrati aveva chiesto lei stessa di astenersi, senza però essere autorizzato. “In effetti, al capo A dell’imputazione del processo “Rinascita Scott”, Mancuso viene indicato come “Crimine” per la provincia di Vibo Valentia – ricordano i difensori di Mancuso –, riconosciuto dal “Crimine” di Polsi e storico detentore del potere ‘ndranghetistico formale e sostanziale su tutta la zona del vibonese, vertice assoluto dell’intera area. Nella sentenza Nemea sono descritti alcuni fatti attribuiti a Mancuso, il quale se viene indicato come il vertice dell’area cui facevano parte le associazioni criminali e se vengono descritti alcuni fatti a lui attribuiti, evidentemente – sottolineano i difensori del ricorrente – nei suoi confronti sono state espresse valutazioni di merito in ordine alla sua responsabilità: i due magistrati ricusati hanno manifestato il proprio convincimento giudicando la medesima associazione criminale ritenuta capeggiata da Luigi Mancuso.
Per la Cassazione il ricorso di Luigi Mancuso è fondato perché la Corte d’Appello di Catanzaro, nel respingere il ricorso dell’imputato, ha comunque ammesso che “la sentenza nel procedimento Nemea faccia riferimento a Mancuso e ad alcuni “segmenti fattuali” allo stesso riferibili, ma sostiene che tali riferimenti integrerebbero soltanto la “mera ricostruzione dell’unitario e comune contesto di ‘ndrangheta” e non avrebbero comportato alcuna valutazione di merito in ordine alla posizione di Mancuso. Questi era, sì, indicato come “vertice dell’area cui facevano capo le altre articolazioni criminali”, ma nei suoi confronti non erano state espresse valutazioni, neppure superficiali o sommarie, in ordine alla sua responsabilità. Il ricorrente, peraltro, nel sostenere il contrario, riporta un passo della sentenza del procedimento Nemea nel quale si faceva riferimento all’intervento di Luigi Mancuso sui Soriano con riferimento all’estorsione nei confronti di un imprenditore e in occasione di una rapina commessa dal nipote, e si aggiungeva che i Soriano riconoscevano in Mancuso il Capo Crimine, cioè la figura di vertice nel vibones”. Per la Cassazione, la Corte d’Appello di Catanzaro non ha per nulla spiegato “sulla base di quali considerazioni l’indicazione di Mancuso come “Capo Crimine” e la descrizione della sua operatività in questo ruolo nelle due vicende sopra ricordate, da parte del Ggiudice della sentenza “Nemea”, non integrino una valutazione della sua responsabilità penale per il delitto associativo. Non si comprende a che scopo e a che titolo quegli episodi siano stati menzionati per dimostrare l’appartenenza dei Soriano alla `ndrangheta: se, cioè, fossero stati considerati episodi effettivamente avvenuti e per quale motivo siano stati ritenuti significativi per dimostrare la colpevolezza degli imputati per il delitto associativo. Se si trattava di episodi effettivamente avvenuti e ritenuti significativi ai fini della prova della appartenenza alla ‘ndrangheta, la figura di Mancuso – a quanto appare – ne era in qualche modo coinvolta, atteso che proprio l’obbedienza alle sue indicazioni, quale “figura di vertice nel vibonese”, costituiva un elemento di prova del reato associativo per gli imputati in quel processo giudicati”. Da qui l’annullamento con rinvio e l’accoglimento del ricorso di Luigi Mancuso.
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