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Sentenza “Rimpiazzo”: il clan dei Piscopisani, le doti, i soldi per i detenuti ed il ruolo del “traditore”

I giudici del Tribunale di Vibo ricostruiscono le modalità di azione del nuovo locale di ‘ndrangheta grazie alle dichiarazioni di diversi collaboratori ed in primis di Raffaele Moscato che ha indicato pure i luoghi delle riunioni ed i partecipanti

Sentenza “Rimpiazzo”: il clan dei Piscopisani, le doti, i soldi per i detenuti ed il ruolo del “traditore”
Rosario Battaglia

Una vera e propria organizzazione mafiosa con tanto di “doti” per ogni affiliato, gerarchie interne, riconoscimenti da parte degli altri clan e un controllo “militare” del territorio. Le motivazioni della sentenza del Tribunale di Vibo Valentia relativa al processo “Rimpiazzo” celebrato con rito ordinario contro il clan dei Piscopisani non lasciano dubbi sul riconoscimento del reato di associazione mafiosa contestato in forma pluriaggravata nei confronti degli imputati, tutti di Piscopio: Giuseppe Salvatore Galati (condannato a 12 anni), Rosario Battaglia (condannato a 28 anni), Giuseppe D’Angelo (condannato a 10 anni e 4 mesi), Giuseppe Brogna (condannato a 10 anni), Domenico D’Angelo (condannato a 10 anni), Angelo David (condannato a 10 anni), Stefano Farfaglia (condannato a 10 anni), Nazzareno Galati (condannato a 13 anni e 11 mesi), Benito La Bella (condannato a 13 anni e 11 mesi) e  Francesco Felice (condannato a 13 anni e 8 mesi). [Continua in basso]

Il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma – spiega il Tribunale – nel momento in cui il soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata poichè, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. messa a disposizione≫.  Il sodalizio in esame si presenta nuovo rispetto alle compagini contestualmente esistenti. Lo stesso deriva da un nuovo patto criminale” ed ai fini del riconoscimento del reato di associazione mafiosa rileva anche l’assidua frequentazione ed i contatti tra gli imputati”.

I collaboratori

Raffaele Moscato, intraneo al clan dei Piscopisani, decide di iniziare a collaborare con la giustizia nel marzo 2015 poichè, a suo dire, necessitava di cambiare vita: “Ho commesso con il clan dei Piscopisani dall’estorsione alla rapina, all’omicidio, alla gambizzazione, dopo c’è stata una faida e mi sono sentito marcio, non appartenevo più a quella vita ed ho preso questa scelta”.

Emerge, così, “in maniera univoca – scrivono i giudici in sentenza – il programma criminale del sodalizio in esame: omicidi, intimidazioni, estorsioni, danneggiamenti, gambizzazioni, rapine. Le dichiarazioni promanano da fonti che si pongono a diversi livelli prospettici: Moscato intraneo al sodalizio, Mantella e Arena, esponenti dei clan alleati, Bono e Loredana Patania, esponenti dei clan rivali”. [Continua in basso]

I luoghi per le riunioni

Giuseppe D’Angelo

Nel riferire della posizione di Giuseppe D’Angelo, Raffaele Moscato ha spiegato che si trattava di “una persona di rilievo che metteva a disposizione la sua campagna per noi, nel senso per Rosario Battaglia per prendere appuntamenti, per avere mangiate, per avere riunioni, si metteva a disposizione comunque Giuseppe D’Angelo, perchè lui non era un azionista che faceva qualcosa sul campo, lui era un affiliato normale”. La campagna utilizzata per le riunioni si trovava in una stradina poco prima del palazzo del padre di Rosario Fiorillo – ha dichiarato Moscato – andando verso Mesima e rimanendo nel paese di Piscopio”. Sarebbero stati in tanti a recarsi a tali riunioni in campagna e Moscato ha indicato “quelli di Gerocarnee, cioè questo Giovanni Emanuele, un altro si chiamava Domenico, con l’Audi A3, sempre del gruppo degliEmanuele, veniva pure Saverio Razionale, Gregorio Gasparro, Giofrè, gli appartenenti all’ex gruppo di Mantella, veniva Tomaino, Carmelo Chiarella, venivano parecchie persone là, Diego Bulzomi’…”.

Sempre Moscato ha poi riferito che fra i luoghi deputati alle riunioni per discutere delle strategie criminali vi era pure la “loggia”, una campagna a Piscopio di proprietà di Nazzareno Fiorillo, alias “U Tartaru”, che ha scelto il rito abbreviato ed è stato condannato nel processo “Rimpiazzo” in primo grado a 11 anni.

Rosario Fiorillo

Altro luogo di incontro un appartamento in via Arenile a Vibo Marina di proprietà di Davide Fortuna (poi ucciso in spiaggia dal clan Patania di Stefanaconi nel luglio 2012). Nell’appartamento hanno trovato dimora Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Francesco Scrugli e lo stesso Moscato. “Rosario Fiorillo – ha ricordato Moscato – aveva all’epoca una sorveglianza e si era iscritto all’università dalle parti di Pisa e praticamente lui scendeva a Vibo Marina, perchè aveva dei documenti falsi e lasciava nella casa di Pisa a suo cugino, che si chiamava Giovanni Zuliani, lo lasciava la con i documenti suoi e scendeva con dei documenti falsi con l’aereo e veniva in via Arenile e stava là con noi. Lui risultava che aveva la sorveglianza e che andava all’università a Pisa, ma in realtà era suo cugino a stare nella casa di Pisa”.

I soldi per i detenuti

Di rilievo motivazioni della sentenza, anche le dichiarazioni di Raffaele Moscato sulle fonti di sostentamento delle famiglie dei sodali in caso di detenzione: C’era un pub a Vibo che si chiama Pequod, poi c’era un altro bar che si chiama American Bar e sarebbe su piazza Municipio. Questo American Bar in realtà, da come sapevo io, era per il sostentamento dei detenuti, però lo gestiva Giovanni Battaglia. Poi gli altri bar che gestivano erano quelli a Piscopio. A Vibo Marina c’era un altro bar che erano in società all’inizio Rosario Battaglia, Davide Fortuna, Antonio Vacatello e questo Salvino di Vibo Marina. Per quando ci arrestavano questo bar, mi spiegava Battaglia, era buono in quanto una mesata sicura poteva arrivare nelle tasche delle nostre famiglie”.

Le doti di ‘ndrangheta

Raffaele Moscato, inserito nel clan dei Piscopisani nel 2010, ottenne diverse doti di ‘ndrangheta: “Nel 2010 a Piscopio mi hanno dato la dote di picciotteria, nel 2013 nel carcere di Catanzaro mi hanno dato la dote camorra e sgarro, nel 2014 mi hanno dato la dote santa e vangelo nel carcere di Frosinone. Nel 2010 erano presenti Nazzareno Fiorillo, Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo, Pino Brogna, il figlio Antonio Spugna, il padre. Franco La Bella, adesso non me li ricordo proprio tutti. Nel 2013 invece la dote di camorra e sgarrista me l’hanno data Salvatore Carone di Tropea e Emanuele Valenti di San Gregorio. La dote del santista e vangelo mi l’hanno data Paolo Lentini, Giuseppe Ranieri e Rosario Battaglia”.

Il “traditore” che doveva essere allontanato

Nazzareno Fiorillo

Nonostante con la nascita del nuovo locale di ‘ndrangheta di Piscopio al vertice fosse stato collocato nel 2009 Nazzareno Fiorillo, 56 anni, detto “U Tartaru”, Rosario Battaglia era intenzionato ad allontanarlo ed a spiegarne le ragioni è Raffaele Moscato per come riportato nelle motivazioni della sentenza: “A Nazzareno Fiorillo lo volevano cacciare da questo locale perché era un traditore. Nazzareno Fiorillo era vicino a Lele Patania, a Lo Giudice, negli ultimi tempi veniva persino soprannominato “Zio Neno”, però i rapporti con i Piscopisani si erano raffreddati a seguito dell’omicidio di Fortunato Patania, poichè Zio Neno aveva provveduto a sistemare solamente le sue cose personali, girando le spalle al proprio locale ed ai propri appartenenti. Nazzareno Fiorillo era fratello di Pino Fiorillo, azionista e un vero e proprio killer. Pino Fiorillo è peraltro padre di Michele Fiorillo, detto Zarrillo, e affiliato al clan di Piscopio, di riflesso vicino a quello di San Gregorio di Ippona, perchè lui abitava a San Gregorio d’Ippona”.

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