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Scioglimento del consiglio comunale di Tropea: ecco le motivazioni

Depositata oggi al protocollo dell’Ente la relazione del ministro Alfano al presidente della Repubblica. Evidenziata la “sussistenza di concreti elementi su collegamenti diretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata”

Scioglimento del consiglio comunale di Tropea: ecco le motivazioni
Il Comune di Tropea

“L’analisi svolta evidenzia la sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori locali con la criminalità organizzata di tipo mafioso e su forme di condizionamento degli stessi, riscontrando pertanto i presupposti per lo scioglimento del consiglio comunale ai sensi dell’art. 143 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267”.

L’analisi in questione è quella della commissione di accesso agli atti al Comune di Tropea, insediatasi lo scorso ottobre. Le risultanze di quel lavoro sono contenute nella relazione del ministro dell’Interno Angelino Alfano al presidente della Repubblica Sergio Mattarella e depositata oggi al protocollo dell’ente vibonese, il cui consiglio comunale è stato sciolto il 10 agosto scorso.

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Documento che contiene le motivazioni sulla base delle quali si è infine pervenuto ad un provvedimento le cui origini sono da farsi risalire ai primi mesi del mandato amministrativo del sindaco Giuseppe Rodolico, insediatosi il 25 maggio 2014, quando, in particolare, allo stesso venne danneggiata da un ordigno esplosivo l’autovettura parcheggiata in pieno centro storico. Da allora la Prefettura di Vibo, anche sulla base di alcune segnalazioni, avviò un monitoraggio sul Comune accertando diversi elementi “sensibili”.

In particolare, l’attività di accesso agli atti ha evidenziato la “sussistenza di forti legami di parentela e di frequentazione di alcuni amministratori e dipendenti comunali, molti dei quali con gravi precedenti di natura penale, con esponenti di ambienti controindicati. Tali rapporti, consolidatisi nel tempo, hanno prodotto una sviamento dell’attività amministrativa dell’ente in funzione degli illeciti interessi e delle regole della criminalità organizzata”.

Elementi di rilievo, nelle motivazioni, sarebbero poi “gli accordi pre-elettorali” che, secondo la commissione di accesso agli atti, sono “maturati alla presenza di soggetti presumibilmente vicini alle cosche mafiose Mancuso e La Rosa”. In particolare, emerge che nel mese di aprile 2014 “veniva organizzato un incontro in un albergo nelle vicinanze di Tropea al quale erano presenti, oltre al futuro sindaco, soggetti riconducibili ad ambienti criminali. Durante la riunione veniva decisa parte del futuro assetto della Giunta comunale con l’assicurazione, ad uno dei candidati sindaco che, se avesse ritirato la propria candidatura e avesse sostenuto la lista del primo cittadino, avrebbe ottenuto in cambio un incarico da assessore”. Circostanza che poi si è effettivamente verificata.

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Ad aggravare ulteriormente il quadro: la coincidenza temporale dell’atto intimidatorio ai danni del sindaco (ancora ad oggi a opera di ignoti), con la revoca della delega di assessore ad Antonio Bretti, provvedimento di revoca avvenuto solo “in conseguenza dell’interessamento delle forze di polizia” alla famigerata vicenda del “tuffo di Capodanno” e non già alla “presa di coscienza della gravità dell’evento”.

In quella circostanza, come si ricorderà, “uno dei principali promotori della manifestazione fu un noto pregiudicato del luogo, all’epoca sottoposto a sorveglianza speciale”, che venne poi addirittura intervistato, “alla presenza dello stesso assessore e di altri esponenti del consiglio comunale”, nel corso di un servizio televisivo “formalmente richiesto alla Rai” proprio da Bretti. Iniziativa alla quale “diede il proprio benestare anche il sindaco”.

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Nella relazione del ministro Alfano quell’evento viene rubricato alla stregua di “un chiaro messaggio mediatico per dimostrare il dominio della locale cosca agli occhi del pubblico”. Si elencano poi il ricorso ad “affidamenti diretti” per lavori di “somma urgenza” a “ditte verosimilmente vicine al contesto criminale locale”; le violazioni, anche di natura penale (turbativa d’incanti, falsità ideologica), “emerse in relazione alla realizzazione di un’aiuola alla Marina dell’isola con la scelta di procedere ad una spesa di circa 8mila euro pur essendovi la possibilità di eseguire tali lavori gratuitamente”; le irregolarità nella gestione dell’impianto di depurazione al fine di “favorire la prosecuzione del servizio alla ditta in carica”; le carenze “nelle procedure di rilascio delle concessioni delle aree demaniali nonché attività di vigilanza e controllo del settore”; le “ingerenze del sindaco e di parte della Giunta nella scelta delle ditte affidatarie attraverso il ricorso ad affidamenti in somma urgenza”.

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Ancora, grave risalto viene dato nella relazione ad uno “sviamento dell’attività amministrativa a favore di ambienti controindicati all’interno del porto di Tropea per la gestione di attività commerciali senza il rilascio della certificazione antimafia e senza il pagamento dei canoni annuali” e alla vicenda legata a “Lo chalet dei fiori”, caso in cui “le condotte della Giunta avrebbero favorito un noto pregiudicato” in relazione ad una violazione urbanistica. “Emblematica” viene poi definita la “condotta omissiva da parte del sindaco del segretario comunale pro tempore che, senza l’intervento del funzionario dell’Ufficio esecuzioni penali esterne (ex servizi sociali) avrebbe di fatto permesso ad un condannato di scontare una pena che prevedeva lavori di pubblica utilità senza di fatto espiarla”. E, ancora, trova posto la vicenda di contributi elargiti ad un torneo di calcio pur nella consapevolezza, da parte degli amministratori, che tra i beneficiari “vi fossero soggetti con precedenti per gravi reati associativi”.

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Le circostanze esaminate hanno dunque rivelato “una serie di condizionamenti volti a perseguire fini diversi da quelli istituzionali, che hanno determinato lo svilimento e la perdita di credibilità dell’istituzione locale, nonché il pregiudizio degli interessi della collettività, rendendo necessario l’intervento dello Stato per assicurare la riconduzione dell’ente alla legalità”.

“Ritengo – conclude la relazione di Alfano a Mattarella – che ricorrano le condizioni per lo scioglimento del consiglio comunale e che la durata della gestione commissariale debba essere stabilita in 18 mesi”.

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