martedì,Dicembre 3 2024

Il Tribunale di Vibo respinge l’applicazione della sorveglianza speciale per Roberto Piccolo

Il 61enne di Nicotera dal giugno scorso è tornato in libertà dopo aver scontato una lunga detenzione per un arsenale di armi. È ritenuto vicino al clan Mancuso

Il Tribunale di Vibo respinge l’applicazione della sorveglianza speciale per Roberto Piccolo
Roberto Piccolo

Nessuna rivalutazione della pericolosità sociale nei confronti di Roberto Piccolo, 61 anni, di Nicotera, ritenuto da sempre vicino al clan Mancuso. È quanto deciso dal Collegio Misure di Prevenzione del Tribunale di Vibo Valentia (Barbara Borelli presidente, giudici Laerte Conti e Luca Bertola), in accoglimento delle argomentazioni prospettate dall’avvocato Giuseppe Di Renzo. Per il Tribunale quando è applicata la misura di sicurezza della libertà vigilata, durante la sua esecuzione non si può far luogo alla sorveglianza speciale, della quale se applicata ne cessano gli effetti”. Roberto Piccolo, allo stato, risulta sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata che gli è stata applicata il 12 giugno scorso dal magistrato di Sorveglianza di Catanzaro al momento della sua scarcerazione. La sorveglianza speciale nei confronti di Roberto Piccolo era stata applicata dalla Corte d’Appello di Catanzaro il 12 dicembre 1997, provvedimento aggravato dal Tribunale di Vibo il 12 febbraio 2003. Tale misura era rimasta quindi sospesa per dieci anni in quanto Roberto Piccolo era finito in carcere per scontare una condanna per la detenzione di armi. Bisognerà quindi attendere l’epilogo della misura di sicurezza già in corso (libertà vigilata) per poter procedere alla rivalutazione della pericolosità sociale inerente la sorveglianza speciale. Da ricordare che nel processo Rinascita Scott era emerso che i detenuti Roberto Piccolo e Andrea Mantella (dal 2016 collaboratore di giustizia) avevano siglato una pace tra loro – dopo essersi sparati a Vibo negli anni ’90 nei pressi del cinema Valentini – per via degli interventi dei boss Luigi Mancuso di Limbadi e Francesco Giampà di Lamezia.

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