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Uccise e poi bruciò l’ex compagna nel Vibonese, condannato a 16 anni

Sentenza d'appello dopo un annullamento con rinvio ad opera della Cassazione. In primo grado erano stati inflitti 24 anni di reclusione

Uccise e poi bruciò l’ex compagna nel Vibonese, condannato a 16 anni
La Corte d'Appello di Catanzaro

Sedici anni di reclusione nei confronti di Stefan Petru Valea, di 48 anni, ritenuto responsabile dell’omicidio della sua ex compagna, Monica Alexandrescu, anche lei rumena, assassinata a colpi d’arma da fuoco l’8 settembre 2008 a San Gregorio d’Ippona, il cui cadavere fu poi rinvenuto carbonizzato all’interno di un’auto data alle fiamme ritrovata il 14 settembre nelle campagne della zona. Questa la sentenza della Corte d’Assise d’appello di Catanzaro dopo un precedente annullamento con rinvio ad opera della Cassazione che si è pronunciata il 21 ottobre 2017. In primo grado, in accoglimento delle richieste della Procura di Vibo Valentia, l’imputato era stato condannato a 24 anni di reclusione.

La Suprema Corte aveva annullato la precedente sentenza dei giudici di Catanzaro sottolineando che gli stessi avevano trascurato “di considerare, sulla base di un congruo supporto critico-argomentativo, i rilievi critici espressi dalla Procura ricorrente in merito ad una serie di elementi indiziari, inerenti principalmente alla crisi del rapporto sentimentale tra Valea Stefan Petru ed Alexandru Monica, alla ricostruzione degli spostamenti del Valea il giorno del fatto, come desumibili dall’esame del contenuto degli sms tra lo stesso” così come i rapporti fra la vittima e altro imprenditore vibonese amante della donna, la verifica delle celle telefoniche agganciate tramite i telefonini a loro in uso e le dichiarazioni dei conoscenti Motantau-Sebaru. Nel “mirino” della Cassazione anche la possibilità da parte di Valea di un tempestivo raggiungimento del luogo del delitto, il comportamento dell’imputato successivo al fatto di sangue e le modalità di spostamento dell’autovettura della donna.

Valea è accusato di aver ucciso con cinque colpi di pistola la sua connazionale per motivi passionali, bruciandone poi il cadavere per coprire le proprie tracce. L’imputato, secondo quanto emerso all’epoca del suo arresto, non avrebbe accettato la fine della relazione con la giovane Monica e per questo l’avrebbe attirata in una zona poco frequentata, per poi freddarla con più colpi di pistola alla testa, tentando infine di distruggere il cadavere. A denunciare la scomparsa della 31enne era stato il marito sessantenne di lei, con cui la donna comunque non viveva da tempo.

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