Pericolo di veicolo di messaggi relativi a vicende illecite, idonei a esporre a pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico”. E’ quanto mette nero su bianco la Cassazione nel dichiarare inammissibile il ricorso di Francesco La Rosa, 54 anni, di Tropea, alias “U Bimbu”, ritenuto elemento di vertice dell’omonimo clan. Francesco La Rosa – unitamente al fratello Tonino – si trova dal luglio del 2023 in regime di 41 bis (carcere duro), disposto dal Ministero della Giustizia. Nell’aprile scorso, il Tribunale di Catanzaro con propria ordinanza ha rigettato il reclamo presentato da Francesco La Rosa avverso il provvedimento con cui era stato disposto il trattenimento di una missiva in entrata, in quanto inviata da un mittente che non palesava la propria identità e che conteneva aspri rilievi critici rispetto alla scelta del detenuto di coltivare il rapporto con i propri familiari, evocando la contrapposizione ad un gruppo esterno tale da apparire suscettibile di veicolare messaggi relativi a vicende illecite, nonché – ricorda la Cassazione – in considerazione della reiterata trasmissione di missive simili, contenenti l’esternazione di sentimenti di ostilità nei confronti dei familiari del detenuto con toni sempre più accesi”.

Avverso l’ordinanza del Tribunale di Catanzaro, Francesco La Rosa ha proposto ricorso per Cassazione deducendo violazione di legge in relazione e motivazione illogica “avendo il Tribunale considerato esclusivamente l’anonimato della missiva ed i toni aspri in essa contenuti”.

Le ragioni della Cassazione

La Suprema Corte ricorda quindi che la sottoposizione al visto di controllo della corrispondenza (che, pur essendo strumento a spiccata connotazione di cautela, non incide sulla possibilità stessa di esercitare pienamente il diritto di corrispondenza con l’esterno del carcere) si configura come un’ulteriore ipotesi utile al conseguimento legittimo delle finalità di tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica sottese alla norma di cui all’art. 41-bis dell’ordinamento penitenziario, allo scopo di interrompere i collegamenti tra il singolo e l’organizzazione criminosa di appartenenza”. Per la Cassazione, quindi, il provvedimento impugnato da Francesco La Rosa ha invece “reso con chiarezza il pericolo di veicolo di messaggi relativi a vicende illecite, idonei questi a esporre a pericolo la sicurezza e l’ordine pubblico, anche in considerazione della natura non isolata di missive dal contenuto simile”.
La giurisprudenza di legittimità ha infatti affermato – e lo ricorda la Cassazione nella sua decisione – che in tema di controllo sulla corrispondenza del detenuto sottoposto a regime di detenzione speciale ai sensi del 41 bis, la decisione di non inoltro della corrispondenza, per essere legittima, deve essere motivata, sia pur sinteticamente e tenendo conto del bilanciamento tra ragioni ostensibili e rilievi non consentiti per esigenze investigative, sulla base di elementi concreti che facciano ragionevolmente dubitare che il contenuto effettivo della missiva sia quello che appare dalla semplice lettura del testo”. Nelcaso di specie, il ricorso di Francesco La Rosa è stato ritenuto dalla Cassazione inammissibile, “risultando basato su motivi manifestamente infondati, che pongono l’accento su profili privi di decisività a discapito delle effettive ragioni fondanti la decisione”.

Il personaggio

Francesco La Rosa è stato condannato per associazione mafiosa in via definitiva al termine dell’operazione Peter Pan scattata nel dicembre 2012 ad opera della Squadra Mobile di Vibo Valentia. Per tale inchiesta ha già da tempo scontato la pena.  Il 20 marzo scorso è stato condannato a 20 anni di reclusione (associazione mafiosa ed estorsioni) al termine del troncone con rito abbreviato del maxiprocesso nato dall’operazione antimafia denominata Olimpo. Nell’aprile scorsoè stato raggiunto da una nuova ordinanza di custodia cautelare nell’ambito dell’operazione antimafia denominata “Call Me” condotta dalla Guardia di finanza e che mira a far luce sull’uso in carcere di telefonini da parte di alcuni componenti della famiglia La Rosa. A Francesco La Rosa vengono contestate in tale inchiesta anche alcune condotte estorsive.  

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