lunedì,Aprile 29 2024

Natale a Vibo, don Varone invita a «non dimenticare gli ultimi, gli indifesi. Dev’essere la festa di tutti»

Nel giorno della Vigilia, il messaggio del parroco di Santa Maria La Nova alla città: «È il momento giusto per condividere, per pensare insieme, per orientare le nostre piccole forze in uno sforzo comune. Questo è il nostro cristianesimo, questo il nostro senso della vita nella verità e nella semplicità»

Natale a Vibo, don Varone invita a «non dimenticare gli ultimi, gli indifesi. Dev’essere la festa di tutti»
Don Enzo Varone, parroco di Santa Maria La Nova

Deve essere «il Natale di tutti» e non la festa di pochi. Don Enzo Varone, parroco della chiesa di Santa Maria La Nova di Vibo Valentia, punto di riferimento per tanti fedeli, non usa mezzi termini per sottolineare che anche «gli ultimi, gli indifesi, gli indigenti, non devono essere dimenticati, lasciati indietro». Nel giorno della vigilia del Natale, «la festa e la celebrazione della vita, nasce Colui che rivela il significato vero della nostra umanità e della nostra spiritualità», il messaggio del sacerdote alla comunità è forte, carico di profonda umanità cristiana, ma le sue parole sono anche un monito a fare per gli altri. Sempre.

«Mai come in questo momento – spiega don Enzo Varone – sentiamo il bisogno di capire se sia Natale anche per noi, che pensiamo di aver compreso tutto, che abbiamo raggiunto gradi di successo e di posizioni sociali che ci possono indurre a pensare che “siamo al sicuro”, ma non è proprio così. Ci illudiamo e siamo con gli occhi chiusi davanti alla sostanziale “fame” di speranza, di certezza e di fraternità. Sì, non c’è solo la “fame di pane”, è molto più grande la fame di “concretezza” di ciò che non si vede ma di cui si sente il bisogno più forte di qualunque altra necessità materiale». [Continua in basso]

La paura della pandemia

Il parroco non manca, poi, di fare presente che «siamo ancora irretiti dalla paura e dalle paure di una pandemia che ci ha fatto smarrire ciò che forse non abbiamo mai pienamente e profondamente sperimentato: la fraternità e il doverci sentire uniti e dipendenti l’uno dall’altro. Ci sono malati e morti in seguito al Covid, ma ci sono tantissimi malati e morti per una serie di malattie, non solo del corpo, che continuano inesorabilmente ad affliggere la nostra terra senza tregua». Per il sacerdote, quindi, «non possiamo sprecare l’occasione della crisi che stiamo ancora vivendo, dobbiamo reagire e rispondere con coraggio alla necessità di sentire che ogni persona che ci sta accanto è “mio fratello”, un dono che il buon Dio ha messo accanto a ciascuno di noi per amarlo: la  vita  di ognuno dipende dal bene dell’altro ed ha valore solo se realizza il bene dell’altro»

Il pensiero alla città

Detto questo, il pensiero di don Enzo Varone va alla città, alla sua città, ancora con tante sacche di povertà e di invisibili, «ma sono persone che meritano attenzione, solidarietà, vicinanza», rimarca il parroco, che aggiunge: «Nella nostra città e nelle nostre comunità ecclesiali stiamo vivendo un tempo di grande cambiamento che non possiamo far passare inutilmente: è il momento giusto per condividere, per pensare insieme, per orientare le nostre piccole forze in uno sforzo comune che ci potrà permettere di essere potenti ed efficaci nella realizzazione del bene come corpo sociale e comunità cristiana. Allontaniamo i molteplici conflitti che ci perseguitano, togliamo ogni forma di invidia e gelosia che porta solo distruzione, tiriamo fuori con coraggio un sano orgoglio che ci permetta, con grande umiltà, di valorizzare le potenzialità di ciascuno e metterle in sinergia, pensiamo ed agiamo nella dimensione del “noi” piuttosto che in modo esclusivamente egoistico, rendiamoci partecipi e pronti  a fare ciascuno la  propria  parte perché  – annota il presule – ogni cosa sia giusta per tutti, acquistiamo consapevolezza che il rispetto delle regole umane, morali e civili ci fanno vivere meglio e ci immettono nel circuito del bene civico ed ecclesiale». [Continua in basso]

Quindi, l’invito a non dimenticare che «il bisogno del singolo è frutto dell’avidità dei molti, il bene comune, se non è tale, genera ingiustizie e discriminazioni che salvano alcuni e condannano altri: non possiamo ancora permetterci questo, o ci aiutiamo tutti o ci perderemo tutti. Abbiamo sete di riconciliazione e di solidarietà. Siamo consapevoli delle nostre incertezze, dei nostri limiti, delle nostre povertà, ma tutte queste cose non possono essere né alibi né impedimenti al nostro agire in modo virtuoso e sapiente».

«Guardiamo chi ha bisogno»

Il sacerdote insiste e invita a «guardare intorno a noi, perché – dice – c’è tanto bisogno: ciascuno si senta interpellato, coinvolto a condividerlo ed alleviarlo con tutta la propria vita, non solo con le cose materiali. Ci sono sofferenze spirituali e corporali, ci sono malattie di adulti e bambini, ci sono indigenze di famiglie che non riescono ad avere il sostentamento minimo per soddisfare le necessità primarie ed essenziali, ci sono anziani soli, ci sono persone perseguitate da condotte maligne, ci sono morti che causano ferite profonde. Cerchiamo una risposta alle tante domande generate dalla nostra povertà. Dio, nel suo Figlio, Verbo incarnato, ci dà l’unica vera risposta: io sono in tutte queste cose della tua vita e voglio la tua collaborazione e la tua sincera disponibilità». [Continua in basso]

Il cristianesimo come senso della vita

Per don Enzo Varone, dunque, questo «è il nostro cristianesimo, questo il nostro senso della vita nella verità e nella semplicità. Natale è per tutti perché ognuno è chiamato a dire il proprio “eccomi”, è la festa della Speranza che “l’impossibile” da un punto di vista umano sia lo spazio per le infinite possibilità di Dio, che è capace di vedere ciò che i nostri occhi sono incapaci di cogliere e realizzare ciò che mai avremmo pensato, perché noi non vediamo le grandezze ma solo le prospettive delle realtà piccole. Il Bambino di Betlemme, piccolo, – chiude il parroco di Santa Maria La Nova – esalta la grandezza della nostra umanità, non perdiamo questa ulteriore occasione di bene, sarebbe davvero un grande errore».

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