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Di Leo “il sanguinario” eliminato perché divenuto d’ostacolo al clan – VIDEO

Sulla vittima una vera e propria tempesta di fuoco scatenata da Francesco Fortuna e da almeno un suo complice. Le mire espansionistiche del 33enne preoccupavano i boss con i quali era imparentato.

Di Leo “il sanguinario” eliminato perché divenuto d’ostacolo al clan – VIDEO

Avrebbe premeditato l’agguato pianificandolo nei minimi dettagli e portandolo poi a compimento nel centro di Sant’Onofrio, nei pressi dell’abitazione della vittima. Un “blitz” studiato ed effettuato in concorso con altri soggetti in via d’identificazione che, nel luglio del 2004, portò alla cruenta uccisione a colpi di Kalashnikov e di fucile a pompa caricato a pallettoni, Domenico Di Leo, meglio noto come “Micu i Catalanu”, allora 33enne componente del braccio armato dello stesso clan Bonavota di cui è ritenuto parte integrante anche il principale accusato del suo delitto.

Si tratta di Francesco Salvatore Fortuna, 36enne di Sant’Onofrio, pluripregiudicato contro il quale questa mattina all’alba è scattato l’arresto disposto dalla Direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ed eseguito dai Carabinieri della Compagnia di Vibo Valentia.

Secondo la ricostruzione fornita dagli inquirenti questa mattina nel corso di una conferenza stampa presso la Procura distrettuale di Catanzaro, alla presenza, tra gli altri del procuratore aggiunto Giovanni Bombardieri e del comandante provinciale dei carabinieri di Vibo, Daniele Scardecchia, quello portato a termine la notte del 12 luglio 2004, intorno alle 2.30, ai danni di Di Leo, fu un vero e proprio “raid punitivo”.

La vittima, quella notte, stava rientrando dall’ospedale di Vibo Valentia, a bordo di una mini car, di ritorno da una visita alla cognata. Su di lui si abbatté quella che gli stessi inquirenti definiscono una “tempesta di fuoco” scatenata da almeno due killer che, per portare a termine la missione di morte, si erano posizionati in punti utili a rendere vano qualsiasi tentativo di fuga della vittima.

Di Leo, infatti, sebbene ferito gravemente, riuscì ad uscire dal veicolo e, nel tentativo di sfuggire agli esecutori dell’agguato, tentò di raggiungere la propria abitazione, ubicata a breve distanza. Reazione, questa, stroncata dal volume di fuoco che gli venne scaricato addosso.

I sicari, dopo l’azione, si dileguarono a bordo di una Fiat Uno rubata e poi ritrovata in località “Vaccarizzo” di Sant’Onofrio nel pomeriggio successivo all’agguato. Ad incastrare Fortuna sono stati proprio dei guanti di lattice ritrovati nell’automobile che, comparati al suo Dna, hanno consentito di risalire al responsbile di un omicidio efferato per il quale vennero esplosi almeno ben 45 bossoli di fucile, pistola e Kalashnikov.

Omicidio Di Leo, arrestato Francesco Fortuna

L’ipotesi dei moventi del delitto colloca il fatto di sangue come risposta alla scissione che si era venuta a creare all’interno del clan Bonavota di Sant’Onofrio per «molteplici ragioni». Alla base dell’insofferenza che i vertici del clan avevano maturato nei confronti Di Leo, genero del presunto boss Antonino Bonavota, alcune posizioni ritenute d’ostacolo al predominio della “famiglia” nell’organigramma del clan. Intanto l’opposizione ad un’iniziativa commerciale della famiglia che aveva in progetto l’apertura di un bar a Sant’Onofrio, poi l’intromissione di Di Leo nel rapporto extraconiugale del congiunto Pasquale Bonavota con la cugina, divenuto, quest’ultimo fattore, pretesto che, sempre secondo gli inquirenti, «celava ben altri interessi se non addirittura un movente ulteriore, per decidere di “regolare i conti”, con l’eliminazione di un appartenente al clan, ormai divenuto scomodo».

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Tra i possibili moventi, riferiti in seguito dai collaboratori di giustizia, «il fatto che la vittima fosse un soggetto ritenuto responsabile del collocamento di un ordigno che aveva distrutto una concessionaria di autovetture ubicata allo svincolo autostradale di Sant’Onofrio, di proprietà di un soggetto che già subiva il controllo della cosca». A questi dati se ne aggiungono ancora altri, ovvero, il timore che Di Leo potesse porre in essere azioni nei confronti degli stessi maggiorenti del clan, in ragione della sua caratura e spregiudicatezza (il collaboratore Raffaele Moscato lo definisce “sanguinario”) e della “voglia” che stava maturando di imporsi nell’ambito della consorteria e sul territorio.

Elementi utili all’indagine sono emersi nell’ambito dell’attività investigativa sulle intimidazioni ai danni dell’imprenditore olivicolo Pietro Lopreiato di San Gregorio, socio della cooperativa Talità Kum di Stefanaconi, che, nel novembre del 2011, si vide tagliare oltre mille piante d’ulivo su un terreno di sua proprietà in località Vajoti di Sant’Onofrio dopo essersi opposto ad un’estorsione. Inchiesta conclusasi poi con l’arresto dei vertici del clan dei Bonavota.

Del delitto Di Leo e delle aggravanti della premeditazione, dell’aver utilizzato il metodo mafioso e dell’aver commesso il fatto al fine di agevolare la cosca d’appartenenza, oltre che di detenzione e porto illegale di armi da fuoco e da guerra, dovrà ora rispondere Fortuna, prelevato questa mattina all’alba a Sant’Onofrio. Nei confronti dell’indagato, gli investigatori hanno infatti ritenuto sussistesse il concreto pericolo di fuga come già verificatosi in passato per altri capi d’imputazione a carico dello stesso.

Le interviste al Procuratore Bombardieri e al comandante Scardecchia

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