‘Ndrangheta: da rivedere il carcere duro per l’ergastolano Pasquale Pititto
Il 54enne di San Giovanni di Mileto, che si trova sulla sedia a rotelle, dal 2018 è sottoposto al regime del 41 bis su decisione del Ministero della Giustizia

Dovrà essere rivista la detenzione al carcere duro (41 bis dell’ordinamento penitenziario) nei confronti di Pasquale Pititto, 54 anni, di San Giovanni di Mileto. La prima sezione penale della Cassazione ha infatti annullato con rinvio al Tribunale di Sorveglianza di Roma la decisione con la quale il 13 maggio dello scorso anno aveva rigettato il ricorso di Pasquale Pititto.
L’ordinanza, dopo aver richiamato il decreto ministeriale applicativo del carcere duro, datato 8 marzo 2018, lo giudicava tuttora pienamente legittimo. La pericolosità qualificata di Pasquale Pititto, secondo il Tribunale di Sorveglianza di Roma, non era venuta meno per effetto dell’intervenuta assoluzione di Pititto dal processo nato dall’operazione antidroga denominata “Stammer”. Si tratterebbe, secondo il Tribunale di Sorveglianza di Roma, di sopravvenienza non decisiva, atteso che «le relative gravissime imputazioni sarebbero ancora sub judice, rimanendo sotto ogni altro aspetto inalterata la capacità del detenuto, condannato in via definitiva per altra causa, di alimentare i collegamenti con l’associazione criminale di appartenenza». Non di questo avviso, però, la Cassazione, secondo la quale l’assoluzione dal processo “Stammer” «ancorché con sentenza non ancora definitiva», ha fatto venir meno «tanto il quadro penalistico di riferimento che lo scenario di pericolosità sociale attuale, cui il provvedimento ministeriale in concreto si rapportava». Da qui l’annullamento della decisione del Tribunale di Sorveglianza di Roma che dovrà pronunciarsi nuovamente tenendo conto delle indicazioni della Cassazione. [Continua in basso]
Pasquale Pititto sta scontando l’ergastolo per l’omicidio di Pietro Cosimo (esecutore materiale insieme a Nazzareno Prostamo), delitto consumato a Catanzaro su mandato del boss dei Gaglianesi, Girolamo Costanzo, che pagò all’epoca per il fatto di sangue cinque milioni di lire ai due vibonesi. Pasquale Pititto ha poi rimediato una condanna a 25 anni di reclusione definitiva nel processo nato dalla storica operazione “Tirreno” scattata nel 1993 ad opera dell’allora pm della Dda di Reggio Calabria, Roberto Pennisi. Unitamente al cognato Michele Iannello (collaboratore di giustizia e condannato per l’omicidio di Nicolas Green), Pasquale Pititto è stato ritenuto l’esecutore materiale dell’omicidio di Vincenzo Chindamo e del tentato omicidio di Antonio Chindamo, fatti di sangue commessi a Laureana di Borrello l’11 maggio 1991 su mandato del boss Giuseppe Mancuso di Limbadi (da qualche mese in libertà dopo aver scontato la pena). Nel delitto dei Chindamo sono poi rimasti coinvolti anche i vertici dei clan Piromalli e Molè di Gioia Tauro, alleati ai Mancuso nell’eliminazione dei due elementi del clan Chindamo contrapposti al clan dei Cutellè di Laureana appoggiato dai Piromalli-Molè-Mancuso.
Pasquale Pititto si trova su una sedia a rotelle dopo aver subito negli anni ’90 un tentato omicidio ad opera del contrapposto clan Galati di San Giovanni di Mileto.
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