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Processo Petrol Mafie: le accuse di Moscato a D’Amico, D’Angelo e Giamborino

Deposizione del collaboratore di giustizia dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. Dai traffici di droga alle estorsioni sino ai rapporti con il clan dei Piscopisani. Ed anche un inedito su una sparatoria

Processo Petrol Mafie: le accuse di Moscato a D’Amico, D’Angelo e Giamborino
moscato raffaele
Raffaele Moscato

Udienza interamente dedicata all’esame ed al controesame del collaboratore di giustizia, Raffaele Moscato (assistito dall’avvocato Annalisa Pisano), quella dinanzi al Tribunale di Vibo Valentia per il processo Petrol Mafie. Un esame condotto dal pm della Dda di Catanzaro, Andrea Mancuso, che ha riservato anche diversi racconti inediti. “Collaboro dal marzo del 2015 perché ho deciso di cambiare vita in quanto non mi riconoscevo più in regole assurde e desideravo avere un futuro migliore e non continuare a fare una vita da criminale. Tranne la prostituzione ho commesso tutti i reati, dalla rapina all’omicidio, dalle gambizzazioni alla droga. Ho fatto parte del clan dei Piscopisani, costituito nel 2009 e che estendeva il suo potere non solo su Piscopio ma pure su Vibo Marina, Longobardi e Bivona. Avevo già in precedenza un rapporto con Rosario Battaglia e Rosario Fiorillo di Piscopio. Il contabile del clan era Michele Fiorillo, detto Zarrillo, mentre capo società era Pino Galati. Capo del nuovo locale di Piscopio è stato messo Nazzareno Fiorillo. Ho trafficato droga anche a Bologna – ha raccontato Moscato – ed in particolare cocaina con i fratelli Sasha e Davide Fortuna, mentre su Tropea ho trafficato droga con Zaccaro, genero di Tonino La Rosa. A Palermo, invece, trafficavo droga con Gaetano Rubino che una volta la doveva trasportare via treno salendo dalla stazione di Vibo-Pizzo. C’era pure Rosario Fiorillo quella volta con e per evitare un controllo della polizia abbiamo momentaneamente nascosto la cocaina a casa di Pino Fazio a Vibo Marina. In seguito io e Gaetano Rubino siamo andati in auto sino a Palermo. L’auto ci è stata prestata e messa a disposizione da Pino D’Amico”. [Continua in basso]

L’imprenditore D’Amico al servizio dei Piscopisani

Giuseppe D’Amico

E’ a questo punto della deposizione che il collaboratore Raffaele Moscato, sollecitato dal pm, si sofferma sulla figura di Pino D’Amico, uno dei principali imputati del processo. “Pino D’Amico è una persona vicinissima ai vertici dei Piscopisani, è un imprenditore che aveva la Dmt Petroli a Maierato, una colonnina di benzina a Vibo ed anche un’impresa di costruzioni. Dava soldi ed auto ed era sempre a disposizione dei Piscopisani che mi parlavano benissimo di lui. L’auto per trasportare la droga a Palermo era stato Sarino Battaglia a prenderla da Pino D’Amico e pure Michele Fiorillo, detto Zarrillo, aveva rapporti con lui. Pino D’Amico sapeva tutto del clan dei Piscopisani, era come un appartenente e sapeva che facevamo traffici di droga con Palermo. L’auto che ci ha prestato per trasportare la cocaina era un Mercedes intestato alla sua società. Pino D’Amico ci dava anche denaro per il nostro sostentamento in carcere e pure a me personalmente ha dato sui cinque, diecimila euro. Pino D’Amico era a favore della ‘ndrangheta ed era spesso con noi pure ai matrimoni”.

Pino D’Amico ed il narcotraffico

Il defunto broker di San Calogero Vincenzo Barbieri

Raffaele Moscato racconta quindi della partecipazione dell’imprenditore Pino D’Amico ai traffici di cocaina attraverso la dazione di una sua parte di denaro per le importazioni. “Pino D’Amico ci ha dato denaro anche per i traffici di droga. In particolare Pino D’Amico e Nazzareno Fiorillo hanno messo 50mila euro per importare cocaina tramite Vincenzo Barbieri, Giuseppe Topia, Antonio Franzè e Salvatore Tripodi. Si trattava di dieci chili di cocaina che doveva essere acquistato da Rosario Battaglia, Rosario Fiorillo e Michele Fiorillo attraverso il gruppo di Vincenzo Barbieri”. [Continua in basso]

Pino D’Amico, Francesco D’Angelo e Pietro Giamborino

Francesco D’Angelo

Dopo aver accennato all’omicidio nel settembre 2011 del boss di Stefanaconi, Fortunato Patania, di cui Raffaele Moscato è stato l’esecutore materiale, il collaboratore di giustizia è quindi passato a parlare dell’ex consigliere regionale Pietro Giamborino. Era un affiliato al locale di ‘ndrangheta di Piscopio, era in politica però era un malandrino ed era stato battezzato pure lui. Da politico ha sistemato lavorativamente tutti i parenti di Battaglia e ricordo che in occasione delle elezioni e della sua vittoria, Pietro Giamborino alle 3 di notte si è recato a casa di Rosario Battaglia con una bottiglia di champagne per festeggiare. Se non erro, invece, Pino D’Amico era anche presidente di una squadra di calcio a Piscopio o comunque era lui che comprava le divise per i ragazzi. Nel febbraio del 2013, Pietro Giamborino ha fatto prendere dei lavori a Piscopio ed ha chiuso un accordo con Pino D’Amico per un’estorsione da pagare ai Piscopisani. E’ stato Pino D’Amico a raccogliere i soldi dagli altri imprenditori per questo grosso lavoro a Piscopio ed a versare una quota al clan dei Piscopisani. Con Pino D’Amico c’era anche il suocero Francesco D’Angelo, detto Ciccio Ammaculata. Ciccio Ammaculata era il capo del vecchio locale di ‘ndrangheta di Piscopio. Pietro Giamborino – ha raccontato Moscato – si è messo a disposizione e si parlava di come impostare l’estorsione. La riunione è stata fatta a casa di Ciccio Ammaculata che era una persona molto influente a Piscopio e da giovane aveva sparato un colpo di pistola alla pancia al padre di Sasha Fortuna”. Un episodio inedito, quest’ultimo, mai raccontato prima da Raffaele Moscato e che è stato anche al centro del controesame condotto dall’avvocato Salvatore Staiano, difensore di Francesco D’Angelo. Al difensore il collaboratore ha anche indicato due dei presunti killer del vecchio locale di ‘ndrangheta di Piscopio, ovvero “La Bella, detto Micu Revolver, e Pino Fiorillo padre di Michele Fiorillo detto Zarrillo”. A controesaminare il collaboratore, anche l’avvocato Diego Brancia.

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