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Tentato omicidio di Romana Mancuso e del figlio, processo da rifare: i motivi della Cassazione

Ecco le ragioni per le quali la Suprema Corte ha annullato con rinvio la sentenza di secondo grado che aveva registrato l’assoluzione di Pantaleone Mancuso e la condanna del figlio Giuseppe. Il fatto di sangue è avvenuto a Nicotera il 26 maggio 2008

Tentato omicidio di Romana Mancuso e del figlio, processo da rifare: i motivi della Cassazione
La Cassazione e nei riquadri Pantaleone Mancuso e Giuseppe Mancuso

Sono state depositate dalla prima sezione penale della Cassazione, le motivazioni della sentenza con la quale il 17 maggio scorso si sono registrati due annullamenti con rinvio alla Corte d’Appello di Catanzaro per il boss Pantaleone Mancuso, alias “l’Ingegnere”, di 62 anni, e per il figlio Giuseppe Mancuso, 36 anni. Il primo era stato assolto, il secondo condannato ad 8 anni per i tentati omicidi aggravati di Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo. Fatti di sangue avvenuti il 26 maggio 2008 mentre le vittime si trovavano nei pressi della loro abitazione, ubicata a Nicotera, dove venivano raggiunti da un gruppo di sicari che esplodeva al loro indirizzo numerosi colpi di arma da fuoco, alcuni sparati da un fucile mitragliatore Kalashnikov, altri da pistole calibro 9×19 e 7,62. Gli accertamenti investigativi traevano origine dal ricovero di Romana Mancuso e Giovanni Rizzo, avvenuto presso l’ospedale di Gioia Tauro la mattina del 26 maggio 2008, dove le vittime, ferite da colpi di arma da fuoco, non riuscivano a fornire indicazioni utili all’individuazione dell’attentato eseguito nei loro confronti.

La ricostruzione dell’attentato

Il luogo della sparatoria

Nell’immediatezza dei fatti, i carabinieri della Stazione di Nicotera si recavano sul luogo del delitto, repertando, nei pressi dell’abitazione delle vittime, ubicata a Nicotera, in via Gagliardi, il contrassegno assicurativo di un’autovettura, risultata di proprietà di Giuseppe Mancuso. Quindi venivano ritrovate pure tracce di sostanza ematica essiccata, oltre a due mozziconi di sigaretta, due ogive deformate, ventisei bossoli calibro 7,62 e sette bossoli calibro 9×19. All’interno dell’immobile, nell’area dove era ubicata la cucina, venivano rinvenuti: un foro di entrata nella porta d’ingresso, sei scalfiture dell’intonaco sulle diverse pareti prodotte dall’impatto di colpi di arma da fuoco; un’ogiva all’interno di una bottiglia di vino rotta posta sopra un mobile; molteplici frammenti di ogiva sparsi per la stanza; il vetro rotto dell’anta destra; la vetrata della porta che separa la cucina del corridoio in frantumi; frammenti di vetro sparsi sul pavimento.

Giuseppe Mancuso dai carabinieri

Giuseppe Mancuso

Giuseppe Mancuso il 6 giugno 2008 si presentava spontaneamente presso la Stazione dei carabinieri di Nicotera, a bordo di una Fiat Panda, accompagnato dal suo legale di fiducia. Durante l’interrogatorio, svolto presso la Stazione di Nicotera, Giuseppe Mancuso riferiva di essersi allontanato da Nicotera qualche giorno prima degli accadimenti criminosi e di “avere appreso dell’attentato dalla televisione, mentre si trovava a Pizzo Calabro nell’abitazione di una donna con cui intratteneva una relazione sentimentale; l’imputato aggiungeva anche che il 25 maggio 2008, il giorno prima dell’agguato aveva lavorato, come di consueto, nella panetteria della zia, Rosaria Del Vecchio; il ricorrente, infine, precisava – spiega la Cassazione – che nei giorni in cui si era allontanato da Nicotera non aveva incontrato nessuno e che non aveva mai eseguito lavori di riparazione della carrozzeria della sua autovettura Fiat Panda, che era sempre rimasta nella sua disponibilità. Nel corso dell’ispezione del veicolo di Giuseppe Mancuso, eseguito dai carabinieri di Nicotera, si accertava: che il paraurti posteriore risultava di una tonalità di colore diversa dal resto della carrozzeria del veicolo; che, all’interno del portellone posteriore del mezzo, erano presenti frammenti di verto del lunotto; che il contrassegno assicurativo non veniva rinvenuto nel corso della verifica; che il lunotto presentava un numero di serie diverso da quello degli altri vetri della vettura. Le ulteriori attività d’indagine, coordinate dalla Dda di Catanzaro, non sortivano alcun esito positivo con la conseguenza che l’originario procedimento veniva archiviato il 28 gennaio 2011.

Le dichiarazioni della Pytlarz e l’appello

Emanuele Mancuso

Successivamente, a seguito delle dichiarazioni rese dalla testimone di giustizia, Evelina Pytlarz, moglie di Domenico Mancuso, un congiunto degli imputati, che aveva indicato in Giuseppe Mancuso uno degli autori dell’attentato contro Romana Mancuso e Giovanni Rizzo, la Dda ha riaperto le indagini, iscrivendo nel registro degli indagati lo stesso Mancuso e il padre, Pantaleone Mancuso detto “l’ingegnere”. La riapertura delle indagini veniva disposta dal pubblico ministero il 27 gennaio 2014, senza la preventiva autorizzazione del gip. In questa cornice processuale, il nucleo probatorio dell’ipotesi accusatoria era costituito dal comportamento assunto da Giuseppe Mancuso nei giorni concomitanti all’attentato, finalizzato a precostituirsi un “alibi rivelatosi, fin da subito, incongruo; e poi dall’individuazione dell’autovettura utilizzata dai sicari per commettere l’attentato, una Fiat Panda di colore rosso, che si riteneva nella disponibilità dello stesso Giuseppe Mancuso. L’auto che era stata poi riparata dal suo possessore, mentre gli esiti delle intercettazioni svolte nel corso delle indagini preliminari, con particolare riferimento alla captazione registrata il 20 maggio 2011, nella quale era coinvolto personalmente Pantaleone Mancuso, secondo l’originaria ipotesi accusatoria avrebbero fatto emergere che lo stesso Mancuso aveva eseguito l’attentato, agendo d’intesa con il figlio Giuseppe. Alle dichiarazioni di Evlina Pytlarz, ritenute inattendibili, si aggiungevano nel processo d’appello le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Emanuele Mancuso (figlio di Pantaleone Mancuso e fratello di Giuseppe Mancuso), Arcangelo Furfaro e Andrea Mantella e si riteneva così dimostrato, anche alla luce degli elementi probatori acquisiti nel giudizio sottostante, che Giuseppe Mancuso e Pantaleone Mancuso avevano eseguito l’agguato in danno di Romana Mancuso e del figlio Giovanni Rizzo, nel contesto delle dinamiche ‘ndraghestistiche del clan Mancuso.

Gli annullamenti con rinvio

Pantaleone Mancuso (Ingegnere)

La Cassazione, accogliendo il ricorso della Procura generale di Catanzaro avverso l’assoluzione di Pantaleone Mancuso (difso dall’avvocato Valerio Spigarelli) e disponendo un annullamento con rinvio per un nuovo giudizio di secondo grado, fa notare in sentenza che la testimone di giustizia Evelina Pytlarz ha fornito “indicazioni inequivocabili sull’identità dei soggetti da cui era venuta a conoscenza dell’attentato commesso in danno di Romana Mancuso e Giovanni Rizzo il 26 maggio :2008, precisando di avere appreso degli autori e delle dinamiche degli accadimenti criminosi dal fratello della compagna dello stesso Rizzo, Roberto Cuturello, nonché dagli ex suoceri, Salvatore Mancuso e Giulia Tripodi. Si trascurava, in questo modo – spiega la Suprema Corte – di  considerare che quando il testimone fa esplicito riferimento ad altri soggetti per la conoscenza dei fatti sui quali depone, tali dichiarazioni non sono ex se sanzionate dall’inutilizzabilità, ma comportano l’attivazione di un meccanismo di controllo processuale, disciplinato dal combinato disposto dell’art. 195, comma 1, 2, 3, cod. proc. pen., che non risulta rispettato nel caso in esame”. Nell’accogliere invece il ricorso della difesa di Giuseppe Mancuso (avvocati Mario Santamborgio e Francesco Sabatino) e nell’annullare per lui la condanna a 8 anni, disponendo un nuovo processo di secondo grado, la Cassazione fa invece osservare che “la Corte d’appello di Catanzaro non ha dato esaustivo conto della convergenza delle dichiarazioni rese dai collaboranti Andrea Mantella, Arcangelo Furfaro ed Emanuele Mancuso, escussi a seguito della rinnovazione del dibattimento, non potendo le accuse di Mancuso ritenersi corroborate dalle propalazioni di Mantella e Furfaro, che si erano limitati a fornire generiche indicazioni sul coinvolgimento del ricorrente nell’attentato commesso in danno di Romana Mancuso e Giovanni Rizzo, effettuate sulla base di conoscenze acquisite de relato in relazione a voci correnti provenienti dal loro ambiente ‘ndranghetistico”.

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