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‘Ndrangheta: operazione Maestrale, respinto il ricorso di Antonino Accorinti

Pronuncia della Cassazione sulla misura cautelare per il 68enne di Briatico. Ecco le accuse e le motivazioni della Suprema Corte

‘Ndrangheta: operazione Maestrale, respinto il ricorso di Antonino Accorinti
Antonino Accorinti

Resta in carcere Antonino Accorinti, 68 anni, ritenuto a capo dell’omonimo clan di Briatico. La sesta sezione penale della Cassazione ha infatti rigettato il suo ricorso avverso l’ordinanza del Tribunale del Riesame di Catanzaro del 28 giugno scorso nell’ambito dell’operazione antimafia denominata Maestrale-Carthago. E’ accusato di essere il promotore, l’organizzatore e il finanziatore dell’associazione per delinquere di stampo ‘ndraghetistico, denominata ‘ndrina Accorinti di Briatico. Antonino Accorinti sarebbe attivo – ad avviso della Dda – nei settori delle “estorsioni e del traffico di armi e di sostanze stupefacenti, che dal 2014 era ancora diretto da Accorinti il quale, nonostante fosse detenuto in carcere, aveva proseguito ad occuparsi degli affari della cosca, venendo informato dagli affiliati partecipando così alle scelte decisionali associative e ricevendo il sostegno economico da parte di quel gruppo criminale”. Per la Cassazione, i giudici di merito hanno dato puntuale e logica contezza degli elementi indiziari sui quali si fonda il provvedimento cautelare. A tal fine sono state valorizzate tanto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia, i quali avevano riferito della posizione egemonica assunta nella zona di Briatico dal gruppo criminale mafioso diretto da Antonino Accorinti, detto “Nino”; in particolare il collaboratore di giustizia Giuseppe Comito aveva ricordato di aver saputo nel 2017 che un associato, Pino Bonavita, era stato “allontanato” da Nino Accorinti ed era passato a far parte di altro gruppo diretto da Peppone Accorinti, circostanza questa che era risultata riscontrata dal tenore di una captazione del 2019, che aveva permesso di avere contezza della contrapposizione all’epoca esistente tra Bonavita e suoi familiari da una parte, e Nino Accorinti dall’altra, “accusato” dai primi di voler decidere chi dovesse essere assunto dalle imprese locali operanti nel settore turistico”. Altre intercettazioni telefoniche e ambientali, eseguite tra il 2017 e il 2019, avevano poi permesso – ha sottolineato la Cassazione – di accertare che Nino Accorinti sfruttando i colloqui che aveva in carcere con la moglie, aveva chiesto conto della riscossione e della destinazione finale dei proventi di talune attività delittuose (“i soldi dei parcheggi”); aveva manifestato l’intenzione di vendicarsi nei confronti di due imprenditori del luogo, i fratelli Trimboli, per essersi rifiutati di assumere alle loro dipendenze i figli dello stesso Accorinti; era stato anche destinatario di parte dei proventi di una estorsione consumata ai danni dei gestori dell’azienda di raccolta dei rifiuti urbani nei comuni di Mileto e di Briatico; era stato anche menzionato come la “ragione” di un contrasto sorto tra affiliati che si erano trovati in disaccordo nel versare parte dei proventi delle loro attività a “Nino” Accorinti, che taluno aveva ricordato essere titolare del “diritto” a percepire parte di quei denari”. Da qui il rigetto del ricorso in Cassazione. Nei confronti di Antonino Accorinti – unitamente ad altri 284 indagati – la Dda di Catanzaro ha chiesto il rinvio a giudizio ed è in corso l’udienza preliminare.

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