giovedì,Aprile 25 2024

Rinascita-Scott: Moscato ed i clan del Vibonese, dalla maxi-estorsione al Porto al ruolo dei Mancuso

I legami dei Piscopisani, i rapporti con le cosche del Crotonese e il conto aperto da Razionale nella banca del Vaticano

Rinascita-Scott: Moscato ed i clan del Vibonese, dalla maxi-estorsione al Porto al ruolo dei Mancuso

Nuova udienza dedicata all’esame del collaboratore di giustizia Raffaele Moscato, stamane dinanzi al Tribunale collegiale di Vibo Valentia. L’ex sicario del clan dei Piscopisani, rispondendo alle domande del pm della Dda di Catanzaro Annamaria Frustaci, si è soffermato sulle alleanze fra i clan del Crotonese ed i Mancuso di Limbadi e sui locali di ‘ndrangheta del Vibonese riconosciuti dal Crimine di Polsi. Quindi i grandi affari ed i rapporti fra le varie cosche. [Continua in basso]

Luigi Mancuso

“C’era un rapporto fortissimo fra Nicolino Grande Aracri di Cutro e Luigi Mancuso, tanto che Grande Aracri voleva inserire Luigi Mancuso nella divisione dei proventi ricavati dalle estorsioni sulla città di Catanzaro, dove un’altra parte andava agli Arena di Isola Capo Rizzuto. Si diceva però – ha riferito Moscato – che Luigi Mancuso non fosse interessato a tale divisione. Noi Piscopisani nel 2013, nel carcere di Frosinone, avevamo fatto amicizia con Paolo Lentini, contabile del clan Arena e che a me personalmente ha conferito i gradi di ‘ndrangheta della Santa e del Vangelo. Paolo Lentini voleva fare pure da compare d’anello a Rosario Battaglia una volta uscito dal carcere. Gli Arena erano alleati ai Pelle di San Luca, ai Mancuso di Limbadi, ai Mazzagatti di Oppido, ai Megna di Papanice ed ai Farao-Marincola di Cirò. Ricordo anche – ha aggiunto Moscato – che Paolo Lentini ha raccolto fondi per Franco Coco Trovato, all’epoca detenuto al carcere duro, ed a tale raccolta partecipavano sia gli Arena che i De Stefano di Reggio Calabria”.

In carcere a Frosinone, inoltre, secondo Moscato personaggi come Ernesto Grande Aracri si sarebbero resi disponibili a fare da tramite fra i Piscopisani e Pantaleone Mancuso, alias Scarpuni, per fermare la guerra di mafia all’epoca in atto nel Vibonese fra i due clan. [Continua in basso]

Antonio Altamura

I locali di ‘ndrangheta del Vibonese

Ad avviso di Raffaele Moscato, sino al 2014 ci sarebbero stati nel Vibonese locali di ‘ndrangheta riconosciuti dal Crimine d Polsi, mentre altri non avrebbero avuto tale riconoscimento operando a volte quali ‘ndrine distaccate dei Mancuso. Si diceva – ha spiegato il collaboratore – che i Mancuso avessero una ‘ndrina pure in Africa che utilizzavano pe il traffico di droga. In ogni caso ricordo che fra i locali che avevano il riconoscimento da parte di Polsi c’era quello di Spilinga guidato da Cuppari, quello di Fabrizia il cui capo locale era Antonio Primerano e dove c’erano pure i Montagnese ed i Nesci. Quindi il locale di Nardodipace, di Ariola di Gerocarne dove c’erano gli Altamura, i Loielo e gli Emanuele, e quello di Piscopio nato nel 2009 e che aveva ottenuto il riconoscimento da parte di Giuseppe Catalano che era il responsabile della ‘ndrangheta in Piemonte, Franco D’Onofrio originario di Mileto ma che stava pure lui in Piemonte, i Commisso di Siderno, gli Aquino di Marina di Gioiosa Ionica, ed i Pelle di San Luca. I Piscopisani all’epoca erano diventati una cosa sola con il clan Tripodi di Portosalvo”.

Nicola Tripodi

La potenza del clan Tripodi e la mega-estorsione al Porto di Vibo Marina

Un clan, quello dei Tripodi, che secondo Moscato avrebbe avuto sino alle fine degli anni ’90 un proprio locale di ‘ndrangheta al cui vertice vi sarebbero stati Nicola Tripodi e Fortunato Mantino. “I Tripodi – ha riferito il collaboratore – si rapportavano con Cosmo Michele Mancuso, tanto che Nicola Tripodi ha battezzato una figlia di Cosmo Michele, mentre Fortunato Mantino ha battezzato Michele Mancuso, figlio di Cosmo. I Tripodi avevano invece forti contrasti con Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, e per questo erano diventati una cosa sola con i Piscopisani. I Tripodi non si occupavano di piccole estorsioni da 500 euro, ma eseguivano direttamente con loro mezzi tutti i più grossi lavori pubblici ed edili della zona. Avevano all’epoca – ha aggiunto Moscato – già chiuso una mega estorsione, insieme ai Piscopisani, per i lavori che si dovevano fare al Porto di Vibo Marina e che dovevano essere realizzati dall’imprenditore Cascasi, che era un imprenditore di alto livello. Salvatore Vita mi disse che l’estorsione al Porto era già chiusa”. Moscato ha inoltre riconosciuto in aula la foto dell’imprenditore Cascasi mostrata dal pm Annamaria Frustaci nel corso dell’esame. [Continua in basso]

Giuseppe Accorinti

Le altre ‘ndrine del Vibonese

Fra le ‘ndrine o i locali che, ad avviso di Moscato, non avevano il riconoscimento formale da parte del Crimine di Polsi e che, in un modo o nell’altro, sarebbero state collegate al clan Mancuso vi erano: “Il locale di Zungri guidato da Giuseppe Accorinti, che noi Piscopisani dovevamo uccidere a Vibo Marina, il nuovo locale di Stefanaconi al cui vertice vi era tale Fortuna, detto Cacazza, che aveva fatto anni di galera in Spagna, Salvatore Patania – fratello di Fortunato Patania – Giovanni Franzè, parente di Rosario Fiarè, e anche Emilio Bartolotta che in carcere aveva raggiunto delle elevate doti di ‘ndrangheta. C’era poi la ‘ndrina di Sant’Onofrio con al vertice Mico Cugliari, Pasquale e Domenico Bonavota, la ‘ndrina di Mileto con i Mesiano, i Prostamo ed i Iannello, quella di Vibo con a capo Carmelo Lo Bianco detto Piccinni e poi Domenico Camillò, la ‘ndrina di Tropea”. Discorso a parte per l’Angitolano dove a Filadelfia il bastone del comando sarebbe in mano ai fratelli Rocco e Tommaso Anello, a Francavilla ci sarebbero i fratelli Fiumara e ad Acconia di Curinga i fratelli Fruci, clan “tutti collegati al locale di Serra San Bruno guidato sino alla sua morte, nel 2009, da Damiano Vallelunga e poi rimasto in mano – ha spiegato Moscato – ai figli di Damiano. Quello di Serra era un locale importante. A Briatico non c’era invece un locale di ‘ndrnagheta ma una ‘ndrina inserita nel locale di Zungri. I Mancuso, invece, non avevano bisogno di avere un locale aperto. Erano i Mancuso, il vertice della ‘ndrangheta a prescindere dai gradi detenuti”.

Le soffiate ai Piscopisani e gli agganci di Razionale in Vaticano

Pantaleone Mancuso (Scarpuni)

Dall’esame di Raffaele Moscato è poi emerso che l’imprenditore di Maierato Daniele Prestanicola, “vicinissimo a noi Piscopisani, a Salvatore Tripodi di Portosalvo ed a Franco Dascola”, avrebbe fornito ai Piscopisani “una pennetta Usb – ha ricordato il collaboratore – con dentro tutte le intercettazioni del bar Tony di Nicotera Marina dove c’era Scarpuni ed anche gli atti dell’autopsia a Francesco Scrugli ucciso nel marzo 2012. Dalle intercettazioni al bar Tony volevamo capire io e Rosario Battaglia se Nazzareno Fiorillo avesse cercato autonomamente di fare la pace con Pantaleone Mancuso salvaguardando così solo se stesso”.

Saverio Razionale

Altro capitolo affrontato da Raffaele Moscato è stato il radicamento a Roma del boss Saverio Razionale di San Gregorio d’Ippona. “A Roma – ha dichiarato il collaboratore – aveva un night club, un bar ed un’impresa edile. Si diceva che Saverio Razionale avesse rapporti anche con il Vaticano, tanto da detenere un conto corrente nella banca del Vaticano. Razionale era ormai al vertice della ‘ndrangheta”. Infine riferimenti pure alla ditta Tomeo Mare di Nicotera Marina, che fra il 2007 ed il 2009 -secondo Moscato – sarebbe stata riconducibile a Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, ed ai vibonesi Cannatà e Furlano dediti alla pratica dell’usura.
Nel corso del riconoscimento fotografico, il collaboratore di giustizia ha inoltre riconosciuto: Giuseppe Accorinti di Zungri, i Ruggiero di Vibo Marina, i gemelli Melluso di Briatico, Dino Melluso di Briatico, Franco D’Onofrio, Paolo Romano e Francesco Romano di Briatico, Antonio Franzè di Vibo, Pantaleone Mancuso, detto l’Ingegnere, Pantaleone Mancuso, detto Scarpuni, il carabiniere che avrebbe passato notizie ai Piscopisani (di cui il collaboratore non ha mai conosciuto il nome ma che è stato identificato dagli inquirenti in Antonio Ventura), Giuseppe Barbieri nipote di Accorinti (“Gli Accorinti – ha raccontato Moscato – avevano il controllo anche del locale “Il Malibù”), Francesco Barbieri di Cessaniti (“trattava droga e – ha riferito Moscato – lo ritenevano un sanguinario, un azionista”), Gregorio Niglia, Gianfranco Ferrante, Salvatore Malara, Mario Lo Riggio, Silvano Mazzeo di Mileto, Gregorio Gasparro e Gregorio Giofrè di San Gregorio d’Ippona, Saverio Razionale, Mario Artusa, Maurizio Artusa, Nicola Tripodi, Antonio Tripodi, Santino Tripodi, Orlando Tripodi, Domenico Tripodi, Salvatore Vita, Enzo Barba, Salvatore Tripodi, Raffaele Pardea, Francesco Comerci di Nicotera, Francesco Romano, Barbieri detto “Padre Pio”, Domenico Macrì, Carmelo Il Grande di Parghelia, Francesco Macrì, Salvatore Morelli (“uno dei criminali veri di Vibo – ha spiegato Moscato – vertice del clan in assenza di Mantella e Scrugli), Rosario Battaglia, Mario Loiacono, Carmelo Finelli, Peppe Raguseo (“incontrato a Piscopio per salutare a Rosario Battaglia”), Faraone di Bagheria, Diego Bulzomì, Nicola Finelli di Vibo Marina, Angelo David, Sasha Fortuna, Antonio Vacatello, Andrea Patania (“cugino dei Patania di Stefanaconi”), Domenico Tomanino (“cognato di Salvatore Morelli”), Giuseppe Mancuso (figlio dell’Ingegnere), Francesco Antonio Pardea, Nazzareno Colace, Giovanni Battaglia, Pino Galati di Piscopio, Giorgio Galiano, Cosmo Michele Mancuso, Giovanni Mancuso, Stefano Farfaglia, Franco Barba, Gianni Aracri, Giuseppe Topia, Nazzareno Galati, Gaetano Rubino di Bagheria, Antonio La Rosa, Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, Michele Fiorillo, detto Zarrillo, Francesco Fortuna di Sant’Onofrio, Domenico Pardea, Muscia di Tropea (“trafficava droga”), Rosario Fiorillo, Nazzareno Fiorillo, Davide Fortuna, Benito La Bella (“uomo di fiducia – ha detto Moscato – di Rosario Fiorillo”), Mimmo Polito, Leonardo Fazio.

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