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Omicidio Piccione a Vibo Valentia, il brindisi dei Lo Bianco al passaggio del feretro

Particolari significativi e agghiaccianti sul delitto arrivano dalla testimonianza del fratello della vittima che ricorda anche le presenze sui luoghi di due fatti di sangue ritenuti collegati

Omicidio Piccione a Vibo Valentia, il brindisi dei Lo Bianco al passaggio del feretro
Veduta di Vibo Valentia
Filippo Piccione

Ucciso perché sospettato dai componenti della famiglia Lo Bianco di Vibo Valentia di aver avuto un ruolo nell’omicidio di Leoluca Lo Bianco (cl. ’68), colpito a fucilate l’1 febbraio 1992 in contrada Nasari. Questo il movente (la vendetta) dell’omicidio di Filippo Piccione, avvenuto a Vibo Valentia sotto casa della vittima – in via Dante Alighieri ed a due passi da piazza Municipio – , la domenica di carnevale del 21 febbraio 1993. Dagli atti dell’inchiesta che ha fatto luce sull’omicidio di Filippo Piccione, però, nessuna certezza si ha in ordine all’uccisione di Leoluca Lo Bianco, il cui delitto resta pertanto allo stato impunito. Significative, al riguardo sono anche le confidenze ricevute da Domenico Piccione, fratello di Filippo, sentito a verbale dagli inquirenti. Come attività mi occupo del settore alimentare, vendo olio e vendevo olio – ha dichiarato il fratello della vittima – anche all’epoca. Fornivo qualche cartone di olio sia a Lo Bianco, detto Piccinni, sia a Sebastiano Daguì, che non avevano mai proceduto al saldo del pagamento se non solo dopo l’omicidio di mio fratello, percui feci un decreto ingiuntivo di pagamento contro Lo Bianco il quale pagò a rate il mio avvocato ed al quale lasciai in segno di elemosina l’ultima rata di 500 mila lire. Dopo l’omicidio di mio fratello, a distanza di un paio di mesi, è venuto a trovarmi nel mio stabilimento Sebastiano Daguì che mi disse: “Non vi posso dire chi è stato ad uccidere vostro fratello, ma loro si sono resi conto di avere sbagliato”. [Continua in basso]

Il Comando provinciale dei carabinieri di Vibo

Sono dichiarazioni importanti quelle rese ai carabinieri del Nucleo Investigativo di Vibo da Domenico Piccione in ordine ai due fatti di sangue. Il giorno dell’omicidio del giovane Lo Bianco, ucciso in contrada Nasari, rientravo da Soriano verso Vibo Valentia – ha dichiarato Domenico Piccione – viaggiando a bordo di una Panda nera presa in prestito da mia nipote. Durante la guida, il mio sguardo venne attratto dalle luci che c’erano sulla salita che porta alla proprietà di mio fratello Filippo, nel luogo dove aveva l’azienda, e di fronte al quale si trovava un casolare con una masseria di un Lo Bianco. Mi sono portato su questa stradina per vedere cosa accadesse. All’epoca il cancello era al centro della salita che accedeva alla proprietà di mio fratello. C’era una fila di macchina parcheggiate sulla sinistra, finanche al cancello di mio fratello e c’era un fuoristrada che io conoscevo, forse un Mitsubishi. Lo conoscevo perché apparteneva al figlio di quel Lo Bianco che anni dopo scomparve. Vidi diversi ragazzi – ha dichiarato Domenico Piccione – appartenenti a questa famiglia sparsi sul piazzale di fronte al cancello e davanti alla masseria di quel Lo Bianco, intenti a fare bisogni fisiologici che, alla vista della mia macchina, sono scappati tutti verso le macchine dirigendosi poi verso la fine della salita, probabilmente perché hanno confuso la mia auto per quella dei carabinieri, considerato il colore scuro. Si trattava di una decina di persone circa.

Vincenzo Barba

Ho fatto scendere la mia macchina a retromarcia per andarmene e in quel momento arrivò una Ypsilon 10, che io ho riconosciuto perché era la macchina di tale Barba, detto Il Musichiere, di cui non ricordo il nome, con accanto Lo Bianco detto Piccinni e dietro seduto c’era Francesco Patania, il costruttore. Quando sono arrivati, si sono affrettati a scendere e si agitavano come se rimproverassero questi ragazzi. Io feci marcia indietro e da lì ho provveduto a chiamare con un cellulare particolarmente voluminoso mio fratello Filippo per informarlo di questi movimenti che c’erano. Lui – ha aggiunto Domenico Piccione – per nulla sorpreso, mi disse che lì c’era la masseria dei Lo Bianco che si ritrovavano spesso per mangiarsi una pecora o una capra”. Finito di parlare con il fratello Fillippo, Domenico Piccione verso le 20 di sera si diresse a prendere la figlia ad una festa di compleanno e dal piazzale del mercato di Vibo – piazza Spogliatore -dando uno sguardo dall’alto verso contrada Nasari, notò “le luci della macchine che si affrettavano ad andare “a gran velocità” in diverse direzioni fra San Gregorio d’Ippona, Vibo e Piscopio. “Il mattino successivo – ha dichiarato Domenico Piccione – appresi che lì avevano fatto questo omicidio e siccome mi sentivo testimone della cosa, sono andato a vedere ed ho visto che davanti al cancello, dove prima c’era parcheggiato il fuoristrada che avevo visto la sera prima, c’era un Ape, forse di questo ragazzo che è stato ucciso”. [Continua in basso]

Un Lo Bianco sul luogo dell’omicidio di Piccione

Significative sono anche altre dichiarazioni rese da Domenico Piccione riferite al giorno dell’omicidio del fratello Filippo. Quando mi arrivò la telefonata di mia cognata che mi avvertiva che mio fratello era stato destinatario di un agguato, mi trovavo allo Sporting club. Mi sono immediatamente portato sul posto e ho notato Carmelo Lo Bianco oggi deceduto, socio all’epoca del costruttore Francesco Patania, che si era chinato per accertarsi che mio fratello fosse morto. Lì per lì pensai che si era avvicinato per vedere cosa fosse successo. Poi qualche anno dopo gli chiesi come mai si fosse avvicinato a mio fratello e mi incuriosì il fatto che lui negò di avere mai fatto questo gesto. Mi colpì molto questo suo atteggiamento”.

Il brindisi dei Lo Bianco al passaggio del feretro di Piccione

C’è poi un altro particolare importante e agghiacciante agli atti dell’inchiesta e riguarda la vicenda del brindisi fatto dagli esponenti della famiglia Lo Bianco durante i funerali di Filippo Piccione al passaggio del feretro su corso Vittorio Emanuele III davanti ad un bar. Ricordo che il giorno del funerale di mio fratello, mentre passava il feretro, appena uscito dalla chiesa, il corteo si era fermato davanti alla porta del Caffè Vittorio – ha dichiarato a verbale Domenico Piccione – e lì notammo, all’interno del bar, seppure avesse la serranda mezza abbassata, diversi componenti della famiglia Lo Bianco che alzavano i calici come a fare un brindisi. Anche l’autista che era con me ha notato la scena e mi ha fatto notare questa cosa”. [Continua in basso]

Rosario Lo Bianco

I Lo Bianco, dunque, al passaggio del feretro di Filippo Piccione, avrebbero brindato alzando i calici. Un particolare significativo – secondo la ricostruzione della Dda di Catanzaro – sul loro coinvolgimento nel delitto. Un fatto di sangue che ha portato ad un’ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti di Salvatore Lo Bianco, 49 anni, detto “U Gniccu” (già in carcere per Rinascita-Scott e fratello del Leoluca Lo Bianco ucciso), e di Rosario Lo Bianco, 52 anni, di Vibo Valentia (genero del defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto Sicarro, per averne sposato la figlia). Indagati a piede libero, invece, quali mandanti dell’omicidio di Filippo Piccione: Paolino Lo Bianco, 58 anni (figlio di “Piccinni”), Domenico Lo Bianco (cl. ’42, fratello di “Sicarro”), Michele Lo Bianco, 73 anni, detto “U Cicciu” (fratello di “Sicarro”), Leoluca Lo Bianco, 62 anni, detto “U Rozzu” (nipote dei due Carmelo Lo Bianco), Filippo Catania, 70 anni (cognato di “Piccinni”), Vincenzo Barba, 69 anni, detto “U Musichiere”, Antonino Franzè, 66 anni (cognato di Andrea Mantella), tutti di Vibo Valentia. Sei invece le persone ritenute fra i mandanti del delitto ma nel frattempo decedute: Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni” (cl. 32), il cugino omonimo Carmelo Lo Bianco (cl. ’45), alias “Sicarro”, Nicola Lo Bianco (cl. ’72, figlio di “Sicarro”), Vincenzo Lo Bianco, Antonio Grillo, detto “Totò Mazzeo”, Antonino Lo Bianco, quest’ultimo padre di Leoluca Lo Bianco (cl. ’68) ucciso l’1 febbraio 1992.

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