Valorizzare il patrimonio storico e artistico dei piccoli centri, a Dasà focus sul Crocefisso fresco di restauro
La serata ha visto la partecipazione tra gli altri del vescovo Attilio Nostro e della sovrintendente Daniela Vinci. L’incontro si inserisce nel progetto “Cantiere Cultura” che propone itinerari di viaggi culturali e di fede attraverso la conoscenza del territorio
«Una serata all’insegna della valorizzazione del patrimonio storico, artistico e culturale dei piccoli centri. Con il meraviglioso Crocefisso di Dasà. È l’arte che apre la via della bellezza nell’incontro con il mistero ineffabile di Dio, che si consegna per Amore». È con queste parole che don Pasquale Rosano – parroco del Duomo di Vibo Valentia, vicario episcopale per la Cultura della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, docente di Antropologia teologica presso l’Istituto teologico di Catanzaro – ha commentato l’evento che si è tenuto a Dasà, qualche sera fa, nella suggestiva Piazza dei Caduti del piccolo e grazioso centro della provincia vibonese, posto sul versante tirrenico delle Serre.
Un commento che ben sintetizza l’argomento dell’incontro, focalizzato proprio sul “Crocefisso di Dasà” e connotato da una doppia valenza: di carattere storico-artistico e religioso-spirituale. All’incontro – introdotto e moderato dal giornalista e scrittore vibonese Michele Petullà – hanno preso parte il vescovo della diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, monsignor Attilio Nostro, lo storico dell’arte ed esperto Mario Panarello, docente presso l’Accademia di Belle Arti di Lecce, lo stesso don Pasquale Rosano ed il parroco di Dasà, don Bernardino Comerci. A fare da corollario una piazza – dominata dall’imponente Monumento ai Caduti – gremita di un numeroso e attento pubblico, nonostante l’ora di inizio dell’incontro, che ha preso il via intorno alle 22:00. Tra il pubblico erano presenti anche il maestro d’arte Nicola Mazzitelli, autore del restauro a cui il Crocefisso è stato di recente sottoposto, e la dottoressa Daniela Vinci – sovrintendente alle Belle Arti, Archeologia e Paesaggio per la Città Metropolitana di Reggio Calabria e la provincia di Vibo Valentia –, la quale in chiusura, prima dell’intervento del vescovo, è intervenuta per un breve saluto, non mancando di offrire utili indicazioni e sensazioni sul tema trattato.
Un incontro, quello di Dasà, che si inserisce nell’ambito del “Cantiere Cultura” e del quale ha rappresentato la seconda tappa dopo quella sull’Ostensorio del ‘600 di Ciano di Gerocarne, avvenuto poco tempo fa. Si tratta di un progetto – nato per volontà e su forte impulso del vescovo, monsignor Attilio Nostro, con la collaborazione ed il supporto di don Pasquale Rosano – che mira a valorizzare il grande patrimonio storico, artistico e culturale presente nelle nostre comunità, a partire dai piccoli centri, in quanto luoghi che maggiormente subiscono il fenomeno dello spopolamento. Il progetto, dunque, intende proporre itinerari di viaggi culturali e di fede attraverso la memoria storica dei nostri luoghi; vuole restituire la parola ai documenti, ai reperti, alle opere d’arte, a tutti quei “segni” che raccontano della nostra storia e della nostra identità culturale e si configurano spesso come veri e propri tesori. Il progetto, dunque – che non a caso ha come slogan “le pietre parlano”, in quanto raccontano, comunicano, sono portatrici di storia e di memoria – vuole rifarsi a quanto scritto da Papa Francesco nella Laudato si: “Il patrimonio storico, artistico e culturale, è parte dell’identità comune di un luogo e base per costruire una città abitabile”.
Ad aprire la serie degli interventi, dopo l’introduzione e la contestualizzazione dell’evento da parte di Michele Petullà, è stato don Bernardino Comerci, il quale ha posto l’attenzione sulla necessità di guardare agli “oggetti” sacri – come il maestoso Crocefisso di Dasà – con gli occhi della fede, per “vedere” oltre il “semplice” manufatto, per “ascoltare” ciò che parla un linguaggio diverso dalle parole parlate: un mondo di simbologie e di significati che hanno a che fare con la fede e con il Mistero di Cristo incarnato.
A seguire, poi, don Pasquale Rosano, il quale ha offerto un interessante excursus storico-teologico, soffermandosi in particolare su quello che il Magistero della Chiesa dice in merito al Crocefisso – in quanto oggetto-soggetto di fede e di arte – e soprattutto sull’arte in genere. A tal proposito ha posto l’accento sull’importanza del linguaggio della cultura della bellezza – che proviene anche dall’arte –, quale spazio di relazione con tutti, sottolineando in particolar modo quanto affermato da Papa Francesco, ovvero che «tutti hanno diritto alla cultura della bellezza, specie i più poveri e gli ultimi, che ne debbono godere come dono di Dio».
Il fulcro dell’incontro è stato indubbiamente l’intervento del professore Mario Panarello, il quale ha offerto un’approfondita ed erudita analisi storico-artistica del Crocefisso – in quanto “manufatto”, opera d’arte e simbolo di fede – e la sua evoluzione nel corso del tempo, contestualizzandolo anche dal punto di vista storico e culturale oltre che artistico. Durante la sua disamina, il prof. Panarello ha presentato diversi “modelli” di Crocefisso, rinvenibili nelle nostre chiese ed in particolare nelle chiese dei centri della provincia vibonese, veri e propri tesori da scoprire e valorizzare – Dasà, ovviamente, ma anche Serra San Bruno, Vibo Valentia, Pizzo, Mileto, Soriano, e via dicendo –, tutti connotati da bellezza artistica e caratteristiche particolari. Dalla disamina del prof. Panarello, dunque, è emerso chiaro come ogni Crocefisso – e in genere ogni opera d’arte – ha una sua specificità, una sua identità storica e culturale, essendo frutto del suo tempo, in quanto riflette e incorpora i canoni artistici e culturali del tempo e del contesto in cui è stato prodotto.
Le conclusioni di quello che è stato un intenso momento di incontro-confronto – nel quale il tema è stato affrontato sotto diverse angolature, che nel complesso si sono ben armonizzate tra loro – sono state tratte dal vescovo, mons. Attilio Nostro, il quale ha ribadito la necessità di far conoscere e valorizzare il patrimonio storico-artistico-culturale dei nostri luoghi, sia per far vivere le comunità locali di riferimento sia perché quel patrimonio è testimone silenzioso – un silenzio che bisogna imparare ad ascoltare – delle vicende umane che si sono svolte intorno ad esso nel corso della storia. Un patrimonio, dunque, che rappresenta l’anima di un popolo, l’anima della sua identità culturale e sociale. Un patrimonio che va assolutamente tutelato e valorizzato; che va fatto conoscere, va reso fruibile e va vissuto.
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