lunedì,Aprile 29 2024

Medici cubani in Calabria, forti critiche dai sindacati sull’accordo siglato da Occhiuto

La scelta della Regione di contrattualizzare i sanitari caraibici non è andata giù alle sigle sindacali: «Non neghiamo i problemi, ma ci sono 500 specializzandi che sarebbero ben lieti di lavorare stabilmente qui»

Medici cubani in Calabria, forti critiche dai sindacati sull’accordo siglato da Occhiuto

Forti critiche dal mondo della medicina nei confronti di Roberto Occhiuto e della sua decisione di mettere sotto contratto circa 500 medici cubani per da impiegare nelle strutture ospedaliere calabresi. Di seguito riportiamo le reazioni delle principali sigle sindacali del settore. [Continua in basso]

Smi: «I medici cubani non sono la soluzione»

«Il presidente della Calabria, Roberto Occhiuto ha annunciato di avere fatto un accordo con il governo di Cuba per l’invio nella regione di circa 500 medici nei prossimi mesi, per sopperire alla mancanza di personale negli ospedali calabresi. Lodiamo i medici cubani per la loro solidarietà verso i cittadini calabresi ma non è questa la soluzione per la sanità calabrese». Lo afferma, in una dichiarazione, Cosmo De Matteis, presidente nazionale emerito del Sindacato dei medici italiani (Smi).

«Bisogna affrontare le questioni strutturali della sanità calabrese – prosegue De Matteis – per rispondere al bisogno di salute dei cittadini. Siamo dinnanzi all’assenza di una programmazione sanitaria che tenga conto dell’esigenze della popolazione. I medici e pazienti calabresi continuano ad emigrare al Nord perché non vi sono i presupposti e le condizioni per curarsi e lavorare in sanità nella nostra regione. Si ricorre ai medici cubani, che ringraziamo di nuovo, invece di porre le basi per far fronte alla carenza di medici e di personale sanitario; si è previsto, poi, di affiancare, i medici cubani con cinquecento traduttori per far sì che i cittadini calabresi possano comunicare?».

«Ci aspettiamo parole chiare – sottolinea De Matteis – sul debito contratto dalla sanità e sulle cause della fuga della regione di medici del pronto soccorso e dall’altre specialità sanitarie. Bisogna superare la logica dell’emergenza e programmare una seria politica sanitaria regionale per assicurare il diritto alla salute a tutti cittadini».

Fismu: «Medici cubani trovata agostana di Occhiuto»

«Il problema della carenza di medici in Calabria si risolve importando camici bianchi da Cuba: questa la trovata agostana del presidente della Regione Roberto Occhiuto». Così il segretario nazionale della Federazione italiana sindacale medici uniti-Fismu, Francesco Esposito che parla di «una operazione di dubbia legittimità che penalizza le professionalità italiane e che parte da premesse sbagliate».

«Per colpa di scelte politiche attuali, e passate – sostiene Esposito – la sanità calabrese è stata precarizzata e impoverita in tutti i settori: i servizi ospedalieri e territoriali, il pronto soccorso, la medicina di famiglia e il 118, la medicina penitenziaria o la guardia medica. Un vero e proprio smantellamento della nostra sanità pubblica sul piano delle risorse, del personale e delle strutture, purtroppo anche a favore del privato. Da un lato i pazienti vanno al nord per farsi curare, dall’altro i medici calabresi fuggono, vittime di un sistema clientelare e carente, basato su contratti precari e sottopagati».

«Oltretutto – conclude Esposito – siamo dubbiosi della legittimità di questo protocollo, il Governatore è sicuro che i titoli e le specializzazioni dei colleghi cubani siano equiparabili ed equipollenti con i requisiti italiani? Interverremo anche sul piano legale per garantire qualità delle cure per i cittadini e per tutelare la professionalità dei medici calabresi».

Anaao Assomed: «500 medici specializzandi sarebbero ben lieti di lavorare stabilmente in Calabria»

«Anaao Assomed e Anaao Giovani esprimono totale disappunto e sconcerto rispetto all’accordo che il Presidente della Regione Calabria, Roberto Occhiuto, ha stipulato con una cooperativa (leggi lavoro interinale) della Repubblica di Cuba per il reclutamento di circa 500 medici, al fine di colmare carenze croniche di organico dei nosocomi calabresi.

Un ennesimo segnale della difficoltà in cui versa la sanità pubblica ma anche della fantasia creativa delle Regioni che si illudono di trovare soluzione a problemi strutturali attraverso provvedimenti estemporanei, dal vago sapore elettorale. Grazie anche all’assenza della Politica, oggi affaccendata in tutt’altre faccende dettate dalla campagna elettorale e dimentica dello stato agonico del sistema pubblico di erogazione delle cure. E così siamo arrivati a cercare medici all’estero, addirittura oltreoceano. Cuba, fino ad oggi meta di vacanzieri italiani, diventa il luogo cui rivolgersi per colmare una carenza che ha raggiunto livelli insostenibili in tutto il Paese, specie nelle regioni del Sud, come la Calabria.

La trovata del presidente Occhiuto ha costi non leggeri (3500 euro metti al mese +1200 di rimborso spese + benefit vari) ed evidenti difficoltà, dalla necessità di formazione aggiuntiva, alla diversità di lingua, alla non semplice integrazione in un sistema di cure sostanzialmente diverso da quello cubano. Senza contare i problemi medico legali, quali la responsabilità professionale e il riconoscimento dei titoli di studio.

Il problema di fondo, però, è se i soldi del Fsn, o comunque dei bilanci regionali, provenienti dalle tasse degli italiani, possono essere spesi a favore di cooperative (ancora!!) estere che non assicurano alcun ritorno fiscale o previdenziale per le casse delo Stato. Soldi che trovano vincoli burocratici quando devono essere impiegati per chi nel sistema sanitario lavora, soffre e non è più convinto di restare, ma facili per le cooperative.

E, poi, veramente non ci sono alternative? Forse il Presidente Occhiuto non sa che la legge 145/ 2018, meglio conosciuta come “DL Calabria”, permette ai medici in formazione specialistica di partecipare, a partire dal 3°anno di corso, ai concorsi ospedalieri e di essere assunti a tempo determinato con automatica conversione del contratto a tempo indeterminato al conseguimento del titolo di specializzazione. Una legge ampiamente utilizzata in diverse regioni italiane, che vede oltre il 90% degli specializzandi favorevole a questa opportunità lavorativa e formativa. Ma l’Università degli Studi di Catanzaro boicotta, con motivazioni pretestuose, il reclutamento degli speciaizzandi nelle strutture sanitarie calabresi, non concedendo il nulla osta, in barba anche al recente accordo quadro Stato- Regioni.

Eppure oltre 500 medici specializzandi,con un know-how di conoscenze già integrate nel Ssn sarebbero ben lieti di lavorare stabilmente in Calabria coronando il loro cammino professionale. Assicurando una boccata d’ossigeno al sovraccarico di lavoro dei medici calabresi e ponendo fine a situazioni vergognose come la recente odissea sanitaria dell’80enne di Soverato con aneurisma o la solitudine del primario del pronto soccorso dell’ospedale di Vibo Valentia, da giorni unico medico in servizio.

E c’è anche la possibilità di seguire la strada del Veneto, garantendo una retribuzione adeguata alle prestazioni aggiuntive dei medici in servizio, specie in pronto soccorso, e una corretta costruzione dei fondi contrattuali che incrementi il loro salario accessorio. Magari utilizzando i viaggi a Cuba come benefit aziendale.

La Calabria è all’ultimo posto per l’esigibilità dei livelli essenziali di assistenza, paga 304 milioni di mobilità passiva in un anno con cittadini che migrano anche per interventi definiti “a bassa complessità”, addirittura per il parto, ha meno posti letto della media nazionale, è penalizzata dalla ripartizione del Fsn. Nessuno nega la gravità della situazione.

Chi, però, ha a cuore lo stato degli ospedali pubblici, stremati dalla carenza di medici, come di altre figure professionali, eviti soluzioni ad effetto, facili quanto sbagliate, e usi le leggi dello Stato per richiamare l’Università ai suoi doveri insieme con la leva retributiva a favore dei medici in servizio, l’ultimo pilastro per evitare la bandiera bianca e il deserto sanitario».

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