mercoledì,Maggio 8 2024

Padre Pino Puglisi, il cortile del Duomo di Vibo dedicato al prete antimafia

Alla sua figura è stata anche tributata la “pietra dei giusti”. L’iniziativa portata avanti dalla parrocchia di Santa Maria Maggiore e San Leoluca

Padre Pino Puglisi, il cortile del Duomo di Vibo dedicato al prete antimafia

di Michele Petullà

Martire ed educatore, è stato proclamato Beato il 25 maggio 2013 da Papa Francesco, senza che ci fosse la necessità di provare un miracolo compiuto con l’intercessione del Servo di Dio: è stato infatti riconosciuto che l’esecuzione ordinata dai boss della mafia siciliana, Cosa Nostra – e avvenuta il 15 settembre 1993, nel giorno del suo 56° compleanno, davanti alla parrocchia di San Gaetano, nel quartiere Brancaccio di Palermo –, fu fatta “in odio alla fede”. Ai killer che lo affrontarono e gli spararono gli sussurrò col suo usuale e proverbiale sorriso – quel sorriso che gli è rimasto impresso sul volto anche da morto – “Me lo aspettavo”, come a dire “Sapevo che saresti venuti ma non mi sono fermato, non ho avuto paura di voi”, perché, come amava egli stesso amava dire, “se non hai paura non possono farti niente”. Stiamo parlando di padre Pino Puglisi, un prete di strada, fedele a Dio e fedele all’ uomo, la cui storia si è intrecciata con quella dei volti delle ragazze e dei ragazzi che hanno percorso la sua stessa strada: ragazze e ragazzi figli di nessuno, senza meta e senza maestri, solo la strada. A loro padre Puglisi ha ridato la speranza, una nuova prospettiva di vita e di riscatto sociale: per loro è morto! Un prete che ha portato il Vangelo fino alle sue estreme conseguenze, padre Puglisi; un prete scomodo, che si è messo di traverso alla mafia ed è stato ammazzato da Cosa Nostra. Un prete che educando i giovani secondo il Vangelo li sottraeva alla malavita, alla mafia, e per questo è stato ammazzato.

A padre Puglisi la parrocchia di Santa Maria Maggiore e San Leoluca di Vibo Valentia gli ha dedicato la “Pietra dei Giusti”, ubicata nel cortile del Duomo cittadino: il cortile stesso è stato a lui intestato, nel corso di una cerimonia solenne, e pertanto d’ora in avanti sarà il “Cortile Padre Pino Puglisi”. Molto soddisfatto di questo evento il parroco, don Pasquale Rosano, che lo ha fortemente voluto e per il quale riveste un grande valore simbolico e di testimonianza. Alla cerimonia ha preso parte un folto gruppo di parrocchiani e cittadini, nonostante la pioggia battente che per tutto il giorno ha imperversato sulla città. La cerimonia, inoltre, ha visto la partecipazione di un’ospite d’eccezione: suor Carolina Iavazzo, principale e più stretta collaboratrice di padre Puglisi, testimone ed erede del suo stile di vita, di prete e di uomo. Presente anche il sindaco di Vibo Valentia, Maria Limardo. L’evento è stato inserito, e si è svolto, nel contesto della seconda edizione delle “Giornate Leoluchiane”, ideate e istituite nel 2023 da don Rosano, organizzate dal Duomo di Vibo Valentia e dedicate al santo patrono della città, San Leoluca, in occasione della sua festa, che cade il primo marzo. A precedere la cerimonia di dedica e intestazione del cortile, si è tenuto, presso l’auditorium del Valentianum, un partecipato incontro con suor Carolina, la cui narrazione e testimonianza degli anni vissuti a stretto contatto con Padre Puglisi ha toccato il cuore dei presenti. Un evento che si carica di particolare significato sociale e valore simbolico in quanto si cala in un momento storico in cui il territorio del vibonese è segnato dai ripetuti atti intimidatori, in puro stile mafioso, ai danni di esponenti del clero locale, come il parroco di Pannaconi, don Felice Palamara, il parroco di Cessaniti, don Francesco Pontoriero, e non da ultimo lo stesso vescovo della Diocesi di Mileto-Nicotera-Tropea, mons. Attilio Nostro.

Suor Carolina ha conosciuto molto bene padre Puglisi, avendo lavorato per tre anni al suo fianco, nel quartiere Brancaccio e nel centro da lui fondato. Ne ha raccolto l’eredità – umana, morale  e spirituale –  e la sta portando avanti nella Locride, dove a Bosco Sant’Ippolito, un paese tra Bovalino e San Luca, in provincia di Reggio Calabria, ha fondato il Centro di accoglienza “Padre Pino Puglisi”: luogo di crescita umana e cristiana, dove vengono offerti e praticati percorsi educativi alternativi alla mafia e alla illegalità diffusa; un luogo in cui vengono accolti i giovani e si praticano diverse attività culturali e sociali; due suore e una decina di volontari che seguono una trentina di ragazze e ragazzi “di strada”, proprio come avveniva a Brancaccio. Grazie a suor Carolina, dunque, i frutti del martirio di Padre Puglisi hanno raggiunto anche la terra di Calabria.  Un prete scomodo, abbiamo detto, padre Puglisi, che voleva scuotere le coscienze; un prete, e un uomo, che trasformava il suo amore verso Dio in amore verso il prossimo. Un esempio di vita e di stile sempre attuale, forse oggi più che mai. Definito spesso “prete antimafia”, padre Puglisi era molto di più: in fondo per un prete è normale essere “antimafia”, contro il male. La grandezza di padre Puglisi è stata quella di porsi concretamente come “alternativa alla mafia”. Il suo impegno concreto, il suo metodo sociale, ha dato fastidio alla mafia perché padre Puglisi voleva promuovere non solo lo sviluppo spirituale e cristiano ma anche quello morale, etico e umano, convinto com’era della necessità di “costruire prima l’uomo, insegnare il rispetto di sé, dell’altro, perché se si vivono questi atteggiamenti il passo per incontrare Dio è breve”. Padre Puglisi li amava i suoi ragazzi, con loro ha condiviso la stessa speranza, aveva scommesso su di loro, convinto di poterne fare degli uomini liberi, leali, che potessero camminare a testa alta; aveva su di loro un grande sogno: quello di renderli “liberi”, proprio come dice Gesù nel Vangelo, “La verità vi farà liberi” (Gv 8, 31).

Padre Puglisi conosceva bene il cuore dei giovani e lavorava per innestare in loro la speranza di poter cambiare; lo faceva con coraggio e determinazione, pur sapendo di dare fastidio alla mafia; ma non si è girato dall’altra parte, non si è sottomesso agli “uomini d’onore”, non ha permesso loro di ridurlo al silenzio e all’omertà: ha pagato con il sangue il suo coraggio, per dare speranza a tanti giovani che la speranza l’avevano persa o, peggio, non ce l’avevano mai avuta. Per questo, per loro, aveva creato il Centro di accoglienza “Padre Nostro” a Brancaccio: luogo di crescita umana e cristiana, dove venivano offerti percorsi educativi alternativi alla mafia e alla illegalità diffusa. Spesso era solo, Padre Puglisi, perché chi, come lui, crea alternative rischia di rimanere solo, spesso paga con la solitudine il prezzo del bene che fa. Ma anche quando sentiva il peso della solitudine continuava ad essere un’alternativa alla mafia. Così, ha aiutato tanti giovani ad uscire dal tunnel della paura e dell’ignoranza, attraverso una pedagogia attiva, coinvolgente, sofferta a volte ma autenticamente liberante.

Padre Puglisi aveva un grande e bellissimo sogno: portare il sole nel quartiere Brancaccio, il sole della solidarietà, del riscatto morale e civile; il sole della promozione umana e spirituale, della libertà e della verità, del sorriso e dell’amore. Un sogno che non voleva realizzare da solo, per questo aveva innescato il metodo del contagio, del coinvolgimento, della corresponsabilità. Ogni giorno tirava fuori dal suo cassetto un pezzo di quel sogno, padre Puglisi, e stava per completare il suo puzzle, quando la mafia ha deciso di spezzarlo quel sogno. Ma quel sogno, però, è continuato a vivere, qualcuno come suor Carolina l’ha fatto suo, lo sta portando avanti, con la stessa determinazione di padre Puglisi, con i tanti giovani che si avvicinano a lei e che lei definisce con la struggente espressione di “figli del vento”, strappati alla strada e alla violenza mafiosa. “Se ognuno di noi fa qualcosa, allora possiamo fare molto”, amava dire padre Puglisi. “Sia questo l’invito per ciascuno a saper superare le tante paure e resistenze personali e a collaborare insieme per edificare una società giusta e fraterna”, ha rilanciato di recente Papa Francesco, perché “Sull’esempio di Gesù, padre Pino Puglisi è andato fino in fondo all’amore: ha prediletto i piccoli e gli indifesi, li ha educati alla libertà, ad amare la vita e a rispettarla. E ha dato sé stesso per amore, abbracciando la Croce sino all’effusione del sangue”.

Un martire del nostro tempo, dunque, padre Puglisi, che si è distinto per l’opera svolta a favore dei più giovani, che strappava dalla strada della criminalità e dalle sue illusioni di facili guadagni, spingendoli a guardare oltre, a guardare in alto, a guardare a Dio che “ama sempre tramite qualcuno”, come egli amava dire. Padre Puglisi “dimostrava con i fatti che è giusto resistere e ribellarsi alle logiche criminali, che la mafia può e deve essere sconfitta, perché quelli in gioco sono i diritti elementari e la dignità stessa di tutti gli esseri viventi”, ha dichiarato di recente il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il quale ciò che la mafia voleva ottenere con il brutale assassino del prete era di “eliminare un simbolo, spegnere un motore del riscatto sociale del quartiere Brancaccio e di Palermo”. Questo obiettivo, però, la mafia non lo ha raggiunto, anzi, la testimonianza di padre Puglisi è divenuta ancora più esemplare: la sua opera di educatore alla libertà si è propagata, i semi da lui gettati sono cresciuti nelle coscienze di tanti cittadini e soprattutto dei giovani, a cui ha dedicato il sacrificio della sua vita. Per tutto ciò che ha fatto, padre Puglisi ha rappresentato secondo Mattarella un “simbolo di libertà”, contro il tentativo della criminalità di imporre l’oppressione; un “simbolo di uguaglianza e giustizia”, contro l’emarginazione; un “simbolo di amicizia e solidarietà” per contrastare la subcultura della violenza; un “eroe civile”, perché “i valori evangelici che animavano la sua azione quotidiana trovano corrispondenza nei valori civili espressi nella Costituzione repubblicana”, la nostra Costituzione. La memoria di Padre Puglisi, dunque, la memoria del suo appassionato impegno per la dignità di ogni uomo, è un impegno per tutti noi, un ancoraggio e un impulso costante per le Istituzioni, per tutte le forze sane della società, per tutti i singoli cittadini, per operare sempre e comunque nella legalità e nella giustizia. La memoria di padre Pino Puglisi è pertanto l’eredità di un esempio, un grande esempio di coraggio e altruismo. Padre Puglisi ci insegna che l’amore oltre ad essere ciò che da compimento e senso alla nostra esistenza è anche l’unica forza capace di trasformarla integralmente e radicalmente, curando persino le ferite più dolorose e profonde della nostra anima, ma affinché questo avvenga è necessario che l’amore non assuma la forma di un postulato ma diventi l’alfabeto fondamentale e fondante della vita quotidiana, assumendo la forma di gesti semplici e concreti.

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