Provincia di Vibo: presidente imputato, ente parte offesa ma di dimissioni neanche a parlarne
Dopo Salvatore Solano nessun passo indietro neanche da parte del vicepresidente Domenico Anello che ha firmato il decreto presidenziale di costituzione di parte civile. Il silenzio di gran parte della politica su una situazione a dir poco paradossale e imbarazzante
Ed alla fine non si dimise nessuno. Né il presidente della Provincia di Vibo Valentia Salvatore Solano – nei cui confronti la Dda ha chiesto il rinvio a giudizio per corruzione, scambio elettorale politico mafioso e turbata libertà degli incanti con l’aggravante mafiosa – e neanche il vicepresidente Domenico Anello, che ha firmato il decreto presidenziale con il quale è stato dato mandato al legale dell’ente di costituire la Provincia parte civile nel procedimento penale “Rinascita Scott 2” che vede fra gli imputati anche Salvatore Solano. Lo stesso Solano che, intervenendo con una nota inviata sabato scorso agli organi di informazione, ha ribadito che non si dimetterà dalla carica di presidente (meno che mai da quella di sindaco di Stefanaconi) in quanto ritiene totalmente infondate le accuse che gli vengono mosse dalla Dda di Catanzaro guidata dal procuratore Nicola Gratteri. Una presa di posizione, quella di Solano, che se da un lato appare perfettamente legittima come quella di ogni imputato che reclama la propria estraneità rispetto alle accuse, dall’altro lato finisce per delegittimare di fatto – almeno ad avviso di chi scrive – la costituzione di parte civile della Provincia di cui è presidente. [Continua in basso]
Costituzione di parte civile che – contrariamente a quanto ventilato da qualcuno – non rappresenta affatto un “atto dovuto”, bensì è un atto “voluto”. E fra “dovere” e “volere” c’è una bella differenza. Anche in termini giuridici. Ogni ente, così come ogni persona fisica o giuridica – indicata quale parte lesa dalla Procura – è infatti libera di costituirsi o meno parte civile in un procedimento penale al fine di ottenere in separata sede il risarcimento del danno patito a causa delle condotte delittuose contestate agli imputati. E’ chiaro ed evidente che se un ente pubblico – in questo caso la Provincia di Vibo – decide di costituirsi parte civile in un processo penale contro determinati imputati è perché ha fatto una valutazione a monte sulla fondatezza delle accuse sostenute dall’ufficio di Procura, posto che la parte civile nel processo penale rappresenta l’accusa privata che va ad affiancare la pubblica accusa (Dda di Catanzaro in questo caso) per dimostrare al giudice la colpevolezza degli imputati. Ed è altrettanto chiaro, quindi, che quando Solano afferma che le accuse nei suoi confronti sono infondate e che non si dimetterà, di fatto sta svilendo la costituzione di parte civile della Provincia (almeno nei suoi confronti) nello stesso procedimento che lo vede imputato. Perché mai, infatti, la Provincia di Vibo ha deciso con decreto presidenziale (firmato dal vice presidente Anello) di costituirsi parte civile anche nei confronti di Salvatore Solano se il suo presidente non crede alle accuse della Dda?
E il vicepresidente Domenico Anello (nominato in tale ruolo da Solano nel maggio 2019) non agisce per caso per conto del presidente e fa le veci del presidente in sua assenza? E come fa a restare al suo posto e non sentire l’opportunità di dimettersi atteso che il suo presidente ha dichiarato pubblicamente di non credere alle accuse nei suoi confronti (di Solano) per le quali Anello ha invece firmato la costituzione di parte civile dell’ente? In altri termini: a Vibo Valentia – alla Provincia in questo caso – si finisce di fatto per svilire e rendere imbarazzanti anche le costituzioni di parte civile, creando situazioni a dir poco paradossali. Lunedì 4 ottobre, infatti, nella stessa aula dinanzi al gup distrettuale (per poi proseguire in altre udienze già fissate) si ritroveranno da un lato l’avvocato dell’imputato Solano che cercherà di dimostrare al giudice l’innocenza del proprio assistito e dall’altro lato l’avvocato della Provincia (incaricato con decreto presidenziale) che invece cercherà di dimostrare la fondatezza dell’accusa (anche nei confronti di Solano) chiedendo di costituirsi parte civile. [Continua in basso]
Ma c’è di più. Le contestazioni a carico di Salvatore Solano sono mosse dalla Dda in concorso con il cugino (arrestato) Giuseppe D’Amico e quindi affermando pubblicamente Solano che le accuse mosse nei suoi confronti non hanno alcun fondamento, finisce per delegittimare la pubblica accusa (e la costituzione di parte civile della Provincia, entee da lui presieduto) anche per quel che attiene la posizione di D’Amico che viene collocato fra i principali imputati dell’intera inchiesta.
Una situazione talmente paradossale e imbarazzante per la credibilità delle Istituzioni – quella venutasi a creare per via della decisione di Solano di non dimettersi neanche dinanzi alla costituzione di parte civile dell’ente nel procedimento che lo vede imputato – che persino due consiglieri provinciali, Daniele Vasinton e Antonella Grillo, ne hanno chiesto le dimissioni ricordando che era stato lo stesso Solano nel corso di una riunione politica ad aver garantito (così hanno riferito i due consiglieri in una nota stampa) che si sarebbe fatto da parte se dopo l’avviso di conclusione indagini ci fosse stata una richiesta di rinvio a giudizio nei suoi confronti. [Continua in basso]
Ma nella nota inviata da Solano sabato scorso agli organi di stampa, dell’argomento “costituzione di parte civile” dell’ente da lui stesso preceduto non vi è traccia. Così come, nonostante abbia preso carta e penna (o computer, se si preferisce) per inoltrare tale nota, al momento inevase restano alcune domande che avevamo posto al presidente della Provincia e che riproponiamo: si è reso conto – al di là degli aspetti penali che dovrà chiarire ora dinanzi al gup– che suo cugino Giuseppe D’Amico nelle stesse giornate in cui si intratteneva a parlare con lo stesso Solano, aveva contatti pure con esponenti di spicco della criminalità locale? Si è reso conto dei legami dei suoi due cugini arrestati (Giuseppe D’Amico, genero di Francesco D’Angelo, detto “Ciccio Ammaculata”, indicato quale capo indiscusso del vecchio locale di ‘ndrangheta di Piscopio e poi “uomo di fiducia di Luigi Mancuso”, mentre Antonio D’Amico è sposato con una Gallace di Gerocarne, il cui padre è stato ucciso il 21 marzo 1993)?
Ed ancora: la storia riportata negli atti dell’inchiesta e raccontata (ad avviso degli inquirenti) dallo stesso Salvatore Solano e dal cugino Giuseppe D’Amico, secondo la quale la loro nonna comune “era come una capomafia” ed ha ospitato latitanti del calibro di Luigi Mancuso, Francesco D’Angelo (genero di Giuseppe D’Amico) e Raffaele Cracolici (poi ucciso nel maggio del 2004) è vera o stavano scherzando? La storia raccontata – sempre nelle intercettazioni – da Salvatore Solano e dal cugino Giuseppe D’Amico al dipendente della Provincia Isaia Capria (anche lui ora imputato per turbata libertà degli incanti) secondo la quale il padre dello stesso Solano avrebbe avuto una lite con altra persona (“Mio padre lo voleva sparare”…si legge nelle intercettazioni) e si sarebbe conclusa con il pestaggio della controparte dopo aver preso una pistola, è vera o gli interlocutori (Solano e D’Amico) scherzavano?
E’ il 9 luglio del 2019 quando Giuseppe D’Amico, stando agli atti dell’inchiesta, chiama invece Salvatore Solano. “Quest’ultimo sollecitava nuovamente il cugino per i lavori di San Cono, specificando che sarebbe bastata – sottolinea la Dda di Catanzaro – una stesura di “macinato…senza fare tante cose”. Dalle parole di Solano – evidenziano i magistrati antimafia – era “ancora una volta evidente che l’urgenza di eseguire quei lavori fosse legata a ragioni di opportunità politica, per fare “una bella figura”. (Solano nelle intercettazioni con il cugino: “Eventualmente invece di fare il bitume facciamo questo lavoro qui… perchè è più importante e ci sto mettendo la faccia sopra questa cosa… mi interessa che faccio…a me mi interessa solo…di avere il consenso…il resto non me ne fotte niente più”).
Sia chiaro: Salvatore Solano ha tutto il diritto di difendersi da accuse che ritiene ingiuste così come i suoi cugini, gli investigatori non sono “il vangelo” e la presunzione di innocenza sino a sentenza definitiva è sancita dalla Costituzione. Ma qui il problema – per via della decisione di costituire la Provincia parte civile anche contro il suo stesso presidente – è ben differente ed attiene all’opportunità di rimanere alla guida dell’ente ed alla credibilità che le istituzioni devono pur sempre conservare. Ecco perchè le dimissioni ai più appaiono doverose. Il tutto mentre si attende una valutazione sull’intera vicenda da parte della Prefettura di Vibo (per i profili inerenti le possibili infiltrazioni mafiose nella vita dell’ente alla luce delle accuse e dell’inchiesta) e anche da parte di tutte le forze politiche (sindaci e aspiranti consiglieri regionali compresi) che, ad esclusione del Pd, sono rimaste sinora in silenzio. Anzi, in letargo.
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