mercoledì,Aprile 24 2024

‘Ndrangheta a Verona, condannato anche imprenditore del Vibonese

Originario di San Calogero, per lui l’accusa aveva chiesto 23 anni di reclusione. Ecco tutte le condanne e le assoluzioni

‘Ndrangheta a Verona, condannato anche imprenditore del Vibonese

C’è anche l’imprenditore Francesco Vallone, 46 anni, di San Calogero, fra i condannati dal Tribunale di Verona al termine del processo nato dall’operazione denominata “Isola Scaligera” scattata il 4 giugno 2020. Per Vallone la condanna ammonta a 15 anni di reclusione, mentre la pubblica accusa ne aveva chiesti 23. Vallone era il titolare del Centro Studi «Fermi» dove, in corso Porta Nuova, si sarebbero dovuti tenere i finti corsi di aggiornamento per gli operatori dell’Amia, il cui ex presidente Andrea Miglioranzi era già stato condannato in abbreviato a due anni e 8 mesi ed è ora in attesa dell’appello con altri 18 imputati. Alla stessa Amia, parte civile, è stato riconosciuto un risarcimento di 15 mila euro di provvisionale, 15 mila alla Cgil di Verona e stessa somma a Cgil del Veneto, alla Regione Veneto 150 mila euro di provvisionale. Francesco Vallone, imprenditore molto affermato nel Veronese, l’accusa lo riteneva un organizzatore del sodalizio mafioso, direttamente collegato alla cosca Mancuso di Limbadi, dunque una delle figure apicali del sodalizio. Il Tribunale l’ha però assolto dall’accusa di essere un organizzatore dell’associazione mafiosa e l’ha condannato quale partecipe. Assolto anche da un’estorsione e da una turbativa d’asta. Era difeso dagli avvocati Giovanni Vecchio e Bruno Vallelunga. [Continua in basso]

La cellula autonoma in Veneto: droga, estorsioni e riciclaggio

Un «locale» di ‘ndrangheta, quello di Verona, capace di imporre terrore e omertà, un mix che si è tradotto in una escalation di reati. Spaccio di droga, estorsione, intestazione fittizia di beni, riciclaggio, emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, favoreggiamento, illecita detenzione di armi, minacce e lesioni, simulazione di reato, truffe, corruzione, turbata libertà degli incanti: un clan malavitoso con a capo indiscusso «Totareddu, il Grande», all’anagrafe Antonio Giardino, 54 anni. In particolare, l’operazione “Isola Scaligera” ha colpito un “locale” di ‘ndrangheta che svolgeva attività illecite nella provincia di Verona, riconducibile alla cosca degli “Arena-Nicoscia” di Isola Capo Rizzuto. A Giardino e ai collaboratori più stretti i pm antimafia Stefano Buccini e Lucia D’Alessandro hanno contestato l’associazione di stampo mafioso: accusa che, con nel verdetto, i giudici hanno confermato, mentre hanno escluso l’aggravante dell’associazione armata. nUn rodato ingranaggio malavitoso che si era insinuato anche in Amia, municipalizzata dei rifiuti del Comune di Verona, parte civile al processo con la Cgil e la Regione Veneto che aveva sollecitato danni all’immagine per 3 milioni di euro.

Antonio Giardino, «Totareddu il Grande» condannato a 30 anni

Venti in tutto gli imputati (sui 23 totali) nei confronti dei quali l’accusa aveva chiesto complessivamente 238 anni di reclusione a fronte dei 149 anni e 7 mesi disposti ieri in totale: 30 gli anni a cui è stato condannato il boss Antonio Giardino (classe ’69, «Totareddu», capo indiscusso della locale di ’ndrangheta scaligera); assolta «per non aver commesso il fatto» la consorte Antonella Bova nei cui confronti erano stati chiesti 26 anni di cella; 30 anni la condanna inflitta ad Alfredo Giardino, inseparabile fratello di «Totareddu»; 4 anni e 9 mesi per Agostino Durante; 2 anni e 3 anni per Francesca Durante; 4 anni e 8 mesi per Francesco Giardino; 10 mesi per Giovanni Giardino; 9 anni per Arcangelo Iedà, 8 anni e 6 mesi per Antonio Lo Prete; 5 anni e 6 mesi per Brunello Marchio; 3 anni e 4 mesi per Giuseppe Mercurio; 23 anni per Michele Pugliese; 4 anni e 9 mesi per Silvano Sartori; 15 anni per Francesco Vallone, 2 anni e 6 mesi per Francesco Caruso, 2 anni e 6 mesi per Luigi Caruso, 3 anni a Francesco Scino.

Le altre condanne e le assoluzioni

Assolti, oltre alla moglie del presunto boss, anche Domenica Altomonte, Bledar Dervishi, Giannandrea Napoli (che rischiava 10 anni), Sandra Scino, Luigi Russo (detto «Paolo») per cui i pm chiedevano 24 anni, Antonio Giardino (classe ’87) che rischiava 9 anni.
Per gli inquirenti tutto ruotava attorno a «Totareddu»: secondo la Dda era lui il capo indiscusso del territorio ed era lui a diretto contatto con il boss della casa madre Pasquale Arena, operante nel territorio di Capo Rizzuto, in Calabria. Sarebbe sempre stato lui, «Antonio il Grande» a decidere chi doveva fare che cosa, a coordinare e ad intrattenere rapporti importanti, a gestire il traffico di cocaina. Sua moglie Antonella Bova, classe 1973, che ieri è stata assolta con formula piena, era invece accusata dai pm antimafia di essere stata sua complice fedele e di avergli fatto da prestanome in mille occasioni. Altro personaggio di spicco è Pugliese: avrebbe coadiuvato e in qualche occasione sostituito Giardino, pur essendo agli arresti domiciliari. Sarebbe lui ad avere organizzato l’infiltrazione all’Amia, ad essere il gestore di fatto di una sala slot e ad avere organizzato un traffico illecito di rifiuti.

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