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Sedici anni fa l’omicidio di Francesco Antonio Giurlanda, la mamma: «Chiedo giustizia»

Il ragazzo di Soriano sparì il 27 gennaio 2008, il suo corpo ritrovato carbonizzato un mese dopo. Infruttuose le indagini della vecchia Procura di Vibo per un omicidio che non sarebbe stato commesso dalla ‘ndrangheta

Sedici anni fa l’omicidio di Francesco Antonio Giurlanda, la mamma: «Chiedo giustizia»
Il luogo del ritrovamento dell'auto e, nel riquadro, Francesco Antonio Giurlanda

«Senza te, la mia vita non è più come prima. Ora sono chiusa nella tua stanza. Non sto bene e vorrei vedere giustizia per quello che ti hanno fatto». Mariangela Grillo è una donna sofferente: il tempo che passa, la salute precaria. Il peso più grande sta nel cuore, per quel figlio che le è stato strappato via. Oggi è il sedicesimo anniversario della sua scomparsa.
Francesco Antonio Giurlanda prese parte ad un burrascoso pranzo con degli amici, c’era anche qualcuno di poco raccomandabile. Rancori mai sanati ed un brindisi che sfociò in una zuffa. Poche ore dopo sparì: correva il 27 gennaio 2008. Il suo corpo venne ritrovato in una zona boschiva di Gerocarne, circa un mese dopo: il 22 febbraio. Era stato ucciso, abbandonato nella sua Fiat Punto che fu data alla fiamme. I resti carbonizzati del ragazzo, ventinovenne di Soriano, vennero scoperti tra le lamiere annerite di quell’utilitaria. Il rogo cancellò molte prove dell’assassinio, ma non tutte: fu ucciso con un colpo di pistola all’addome e uno, fatale, alla testa.
Siamo nelle Preserre vibonesi, terra di lupara bianca e di omicidi – tanti, troppi – rimasti impuniti. Anche quello di Francesco Antonio Giurlanda è rimasto tale. La ‘ndrangheta, però, in questo caso non c’entra. Almeno così stabilirono le indagini che, giunte ad individuare due sospettati, si arenarono. Il fascicolo rimase alla Procura di Vibo, non fu mai trasferito alla Procura antimafia di Catanzaro. Molti, da quelle parti, a Soriano, il suo paese, hanno dimenticato, inseguendo, anche negli anni successivi, come nei precedenti, morti ammazzati su morti ammazzati. Non la sua famiglia, non sua madre.
«Mi manchi tantissimo, ti penso sempre. Sei nel mio cuore», scrive Mariangela. Il suo messaggio, rivolto al figlio, ma partecipato al mondo, spera tocchi anche il cuore delle istituzioni, affinché il caso venga riaperto.
Al tempo, i risultati delle intercettazioni, le acquisizioni investigative dei carabinieri e le dichiarazioni del pentito Enzo Taverniti non furono sufficienti affinché la Procura di Vibo Valentia potesse sostenere un processo a carico dei presunti assassini. La speranza di mamma Mariangela è che nel nugolo di indagini istruite dalle forze dell’ordine e della magistratura nel corso di questi ultimi anni sulla criminalità organizzata locale, possa spuntare fuori anche qualcosa su suo figlio. Forse non fu un delitto di mafia, quello. Ma da quelle parti non si uccide nessuno senza che la mafia lo sappia.

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