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Morra non diffamò Mangialavori, assolto l’ex presidente dell’Antimafia

Il Tribunale manda assolto l’ex senatore del M5S per due Post nei quali chiedeva chiarimenti al parlamentare vibonese sull’assunzione della figlia del boss Anello e sul sostegno del clan ipotizzato da Gratteri. Per il giudice sono «interrogativi legittimi che può porre chiunque, a maggior ragione un presidente della Commissione parlamentare antimafia»

Morra non diffamò Mangialavori, assolto l’ex presidente dell’Antimafia
Nicola Morra ed a destra Giuseppe Mangialavori
Il Post di Morra su Facebook

Nessuna diffamazione dall’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia, Nicola Morra, nei confronti del senatore (oggi deputato e presidente della Commissione Bilancio della Camera) di Forza Italia Giuseppe Mangialavori. A stabilirlo è la sentenza del Tribunale monocratico di Cosenza, presieduto dal giudice Vittoria Rosaria Calà, che ha assolto Nicola Morra con la formula più ampia, ovvero “perché il fatto non sussiste”. L’allora coordinatore regionale di Forza Italia, il vibonese Giuseppe Mangialavori, assistito dall’avvocato Alessandro Modafferi del Foro di Vibo Valentia, aveva sporto querela per il reato di diffamazione aggravata a seguito di due Post pubblicati da Nicola Morra sulla propria bacheca Facebook e poi ripresi da diversi organi di informnazione ed anche dalla nostra testata (LEGGI QUI: Morra contro Mangialavori: «Chiarisca sostegno clan ipotizzato da Dda di Gratteri e l’assunzione della figlia del boss» e QUI: Antimafia, Morra di nuovo contro il coordinatore calabrese di Forza Italia Mangialavori: «Silenzio assordante»). I Post risalgono al 14 e al 17 luglio 2022 ed erano stati oggetto di una querela dell’allora senatore di Forza Italia (oggi deputato), Giuseppe Mangialavori, nei confronti dell’allora senatore del M5S, Nicola Morra, all’epoca anche presidente della Commissione parlamentare antimafia. La Procura di Cosenza – ritenuta territorialmente competente – con il pm Antonio Bruno Tridico con decreto di citazione diretta nei confronti di Nicola Morra contestava all’esponente del M5S la commissione del reato «perché, con più azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, offendeva la reputazione di Giuseppe Mangialavori con il mezzo di pubblicità denominato Facebook, “mettendo in rete” più volte, a disposizione degli utenti del sistema, svariati post fortemente denigratori». In particolare, veniva contestata la pubblicazione di due post, nei quali Nicola Morra domandava: «Come mai il coordinatore regionale di Forza Italia non ha ancora spiegato i motivi per i quali è stata assunta nel 2018, anno delle elezioni politiche, nel suo laboratorio di analisi la figlia del boss Tommaso Anello? Quale componente della Commissione parlamentare antimafia, il senatore Mangialavori come intende contrastare il clan Anello di Filadelfia – già riconosciuto esistente con sentenze definitive – dal quale non risulta nessuna presa di distanza pubblica da parte della figlia di Tommaso Anello, dipendente della Salus Mangialavori Srl?». Ed ancora: «il silenzio è mafia» e «…Chiarisca sostegno ipotizzato da Dda di Gratteri e l’assunzione della figlia del boss».

La difesa di Morra

A sinistra Nicola Morra, a destra Giuseppe Mangialavori

La difesa di Nicola Morra – affidata all’avvocato Luigi Fimiani del Foro di Roma – oltre ad evidenziare al giudice, attraverso apposita memoria difensiva, che l’allora presidente della Commissione parlamentare antimafia si era limitato a riportare “il dato certo dell’assunzione della figlia del boss Tommaso Anello nella clinica riconducibile alla famiglia di Mangialavori – la Salus Mangialavori Srl – aveva evidenziato che “la notizia dell’assunzione della figlia di Anello nella clinica era già di dominio pubblico come risultante anche dall’articolo dal titolo “La figlia del boss Tommaso Anello assunta nel laboratorio di Mangialavori” di Pablo Petrasso pubblicato sul quotidiano online “Corriere della Calabria” il 21 agosto 2020, ben prima quindi della pubblicazione dei due Post da parte di Nicola Morra”. Nell’articolo di cui sopra, si evidenziava non solo come il dott Mangialavori – pur non essendo iscritto fra gli indagati del procedimento “Imponimento” – venisse spesso citato negli atti di indagine per i contatti intercorrenti con i soggetti iscritti e collegati alla “cosca”, ma anche che il boss Tommaso Anello stesse cercando di sistemare la figlia trovandole un impiego nella sanità pubblica e che questo veniva trovato nella Salus Mangialavori Srl dal 2018, anno in cui il dott Mangialavori vinceva le elezioni politiche; va, inoltre, considerato che lo stesso Mangialavori ammetteva successivamente, in una intervista rilasciata alla “Gazzetta del sud” nel 2022, tale assunzione, affermando espressamente: «Che sia stata assunta in clinica non c’è ombra di dubbio, peraltro è un’infermiera validissima».

Le motivazioni del giudice

Nicola Morra attraverso il proprio avvocato ha chiesto ed ottenuto di essere processato con rito abbreviato, depositando al Tribunale il decreto di fermo dell’operazione “Imponimento” contro il clan Anello di Filadelfia, scattata nel luglio 2020 ad opera della Dda di Catanzaro. All’esito della memoria difensiva, anche il pm di udienza – Vittoria Perrone – ha chiesto per Morra l’assoluzione. Scrive il giudice Vittoria Rosaria Calà in sentenza: “Dall’esame degli articoli de quo è dato evincersi che Morra – notoriamente presidente della Commissione antimafia – nel censurato articolo Fb si pone la domanda circa il perché il coordinatore di Forza Italia Mangialavori non abbia spiegato le ragioni dell’assunzione della figlia del boss Anello all’interno della sua struttura Salus Mangialavori; Morra asserisce poi che la suddetta figlia/dipendente non avrebbe preso alcuna distanza dal clan Anello e che il silenzio è mafia”. Per il giudice a tal proposito “è chiaro che le circostanze adombrate negli articoli siano l’una di tutto respiroil silenzio è mafia – e l’altra di tutta evidenza”. Sempre per il giudice, quindi, “alcun rilievo ha posto la parte offesa Mangialavori in querela – e tantomeno nel processo – asserendo, per pura ipotesi narrativa, che la figlia del boss Anello non fosse stata assunta nella sua società o che avrebbe la medesima abiurato!”. Ed ancora, il giudice in sentenza rimarca che non è comprensibile perché la domanda a riguardo di tale circostanza non potesse essere posta da chiunque ed a maggior ragione dal presidente della Commissione Antimafia!”. In ordine alla “continenza delle espressioni usate ed alla verità dei fatti affermati” per il giudice è dato evincersi che le espressioni utilizzate non siano né intrinsicamente offensive, – stante le produzioni difensive – false. Deve infatti rivelarsi che già dal procedimento di fermo Imponimento – scrive ancora il giudice in sentenza – si palesava la contribuzione dell’Anello rispetto al Mangialavori in occasione dell’elezione di questi, di tal che la verosimiglianza al vero rendeva possibile, ed ormai a distanza di anni, porsi in un articolo, oltretutto di taglio politico, domande al riguardo”. Essendo poi Morra e Mangialavori appartenenti a schieramenti politici opposti, sempre per il giudice vige il consentito utilizzo di espressioni tipiche dell’agone politico che adombrano il sospetto allo scopo di far emergere la verità”. Da qui l’assoluzione di Nicola Morra “perché il fatto non sussiste”, anche “alla luce dei granitici principi a riguardo espressi dalla Suprema Corte”.

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