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Scioglimento dell’Asp di Vibo, pubblicata la relazione del ministro Piantedosi: «Inquinata dalle cosche di ‘ndrangheta da quando è nata» -Video

Il documento scaturito dall’indagine dei commissari prefettizi disegna un contesto profondamente compromesso dalla criminalità organizzata: dalle assunzioni alla gestione dei distributori di bevande, dai fitti al servizio mensa. Ecco tutti i punti

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L'ospedale Jazzolino di Vibo Valentia

«Sono stati acquisiti dalle forze di polizia elementi informativi e risultanze di indagini dai quali sono emersi presunti fenomeni di condizionamento degli organi gestionali e direttivi della locale azienda sanitaria provinciale». Inizia così la relazione del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, allegata al provvedimento di scioglimento dell’Asp di Vibo Valentia, pubblicata in Gazzetta ufficiale. Dopo aver premesso che la relazione si basa sulle risultanze del lavoro condotto dalla commissione d’accesso, che si è insediata nel novembre 2023, Piantedosi mette in chiaro che «il Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza pubblica, integrato con la partecipazione del Procuratore della Repubblica di Vibo Valentia e del Procuratore distrettuale antimafia f.f. di Catanzaro, si è espresso all’unanimità sulla proposta di scioglimento dell’ente».
«In detta relazione», precisa il ministro, «viene dato atto della sussistenza di concreti, univoci e rilevanti elementi su forme di condizionamento ed ingerenza della criminalità organizzata di tipo mafioso nei confronti dei vertici dell’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia».

Compromessa dalla nascita

Il documento lascia adito a pochi dubbi, affermando «che l’Azienda sanitaria provinciale di Vibo Valentia, sin dalla costituzione avvenuta nell’anno 2007, è stata oggetto di interferenze da parte delle locali cosche mafiose». Un inquinamento, dunque, che viene da lontano, e che ha già determinato un primo scioglimento 15 anni fa. Tanto che l’Asp viene definita «un terreno di conquista e di occupazione da parte delle locali consorterie criminali». A confermare la deriva criminale ci hanno pensato recentemente «le risultanze della recente operazione di polizia denominata Maestrale-Carthago», che ha posto «in rilievo le ingerenze riconducibili alle locali consorterie, tese a condizionare il personale amministrativo e medico dell’azienda sanitaria, parte del quale risulta avere legami diretti o indiretti con i diversi clan ‘ndranghetisti del territorio».

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In particolare, sotto la lente della Prefettura e del ministero poi sono finiti la «gestione del personale, gli incarichi professionali, la gestione del patrimonio immobiliare, i lavori pubblici, le forniture di beni e servizi, le prestazioni sanitarie convenzionate».

«Vertici aziendali reticenti»

Ad aggravare la situazione che poi ha portato allo scioglimento, ha contributo la reticenza dei vertici aziendali, come stigmatizzato dal prefetto, che ha riscontrato «la scarsa collaborazione prestata dalla struttura dirigenziale dell’azienda sanitaria nel fornire la documentazione richiesta dall’organo ispettivo». Come se non bastasse, la commissione d’accesso ha evidenziato «una situazione di grave disordine, e caos, rilevando, ad esempio, una gestione organizzativa del personale che è apparsa inequivocabilmente fuori controllo». Da qui «l’impossibilità di eseguire le dovute e programmate verifiche di taluni aspetti gestionali». Insomma, un casino, che secondo la relazione del ministro allegata al provvedimento di scioglimento, caratterizza «tuttora l’Azienda sanitaria di Vibo Valentia, condizione che oggettivamente contribuisce non poco a favorire gli interessi della criminalità organizzata».

Controlli antimafia inefficaci

«Gli esiti ispettivi – continua il ministro – hanno consentito di riscontrare diversi contatti tra le varie articolazioni dell’Asp ed elementi della criminalità organizzata, rapporti che complessivamente considerati depongono per l’esistenza di un condizionamento dell’ente nel suo complesso, che si rileva in modo particolare nel controllo delle procedure seguite per gli affidamenti di commesse pubbliche concretizzatesi “nel favorire società e professionisti di fatto contigui alle locali cosche di ‘ndrangheta”». La conseguenza è stata l’assoluta inefficacia dei controlli antimafia, tanto che «su ottantadue delibere oggetto di attenzione da parte della commissione di indagine soltanto in sette risultano riportati, e dunque effettuati, i prescritti controlli».

Ditte vicine alle cosche

L’azione ispettiva, dunque, «ha fatto emergere l’esistenza di rapporti economici con numerose ditte attinte, sia precedentemente che successivamente al rapporto con l’azienda sanitaria, da informazioni antimafia interdittive, oltreché’ con soggetti privati che hanno collegamenti diretti o indiretti con “i maggiorenti” delle varie cosche mafiose presenti nella Provincia di Vibo Valentia». A riprova di ciò, «l’organo ispettivo ha riportato un elenco di oltre sessanta fornitori aventi rapporti familiari o di frequentazioni con soggetti controindicati».

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Troppi affidamenti diretti: il caso topico

Cartina di tornasole di questa infiltrazione profonda, sono secondo la relazione ministeriale, sono gli affidamenti diretti: «Nello specifico viene fatto riferimento a una società beneficiaria di oltre quaranta affidamenti – ventidue dei quali in somma urgenza/affidamento diretto – destinataria di informazioni interdittive antimafia i cui effetti ostativi sono stati successivamente superati per l’ammissione della stessa al controllo giudiziario. Nei fatti, è risultato che la predetta ditta, tra i mesi di gennaio e febbraio 2019, è stata destinataria di numerosi provvedimenti con i quali l’Asp ha liquidato diversi affidamenti di “somma urgenza” quasi tutti relativi all’anno precedente e con ciò facendo concentrare i pagamenti nel breve periodo necessario al perfezionamento dell’iter amministrativo preannunciante l’ostatività antimafia poi effettivamente adottata nel marzo 2019».

Idem per i fornitori

Non mancano poi «numerosi affidamenti disposti in favore di alcune ditte inserite nell’elenco dei fornitori dell’ente, tutte di fatto riconducibili allo stesso nucleo familiare, avente stretti rapporti e frequentazioni con ambienti controindicati». Per oliare questo meccanismo, «le delibere emesse tra gli anni 2018/2021 con cui sono state liquidate diverse fatture, riportano la dicitura “richieste di intervento che rivestono carattere d’urgenza e qualsiasi acquisto, anche il più insignificante, diventa improcrastinabile per non creare disagi ed ulteriori sofferenze agli utenti”».

Il servizio mensa: gallina dalle uova d’oro

Capitolo a parte viene dedicato nella relazione di Piantedosi al servizio di refezione, «peraltro già attenzionato durante la precedente procedura di scioglimento dell’ente del dicembre 2010, nella quale emersero utili riferimenti sulle infiltrazioni della criminalità organizzata in tale settore molto remunerativo». Dopo quel precedente, nonostante fosse stato firmato un protocollo d’intesa con la Prefettura con il quale si prevedeva la facoltà dell’Asp di richiedere “la sostituzione di persone non gradite che, a suo insindacabile giudizio, risultassero inidonee”, i recenti esiti ispettivi «non hanno fatto emergere alcun atto posto in essere dall’azienda sanitaria teso ad allontanare qualsivoglia dipendente benché risultino tuttora assunti e operativi alcuni soggetti legati a uno dei locali clan di ‘ndrangheta».

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Patrimonio immobiliare, canoni bassi incassati a fronte di canoni alti pagati

Ma non finisce qui. Fortissime criticità sono emerse anche «con riguardo agli immobili di proprietà o gestiti dall’Asp e ai relativi contratti di locazione», che «hanno rivelato mancati introiti e consistenti liquidazioni di fondi pubblici», in favore «di soggetti notoriamente vicini al contesto criminale della Provincia di Vibo Valentia». In particolare, «è emerso un danno erariale per oltre 545.000 euro» per canoni di locazione «sotto la soglia minima determinata dall’Agenzia delle entrate o, addirittura, la mancata dazione dei canoni stessi». Sull’altro fronte, quello dei fitti passivi, «risulta che l’Asp di Vibo Valentia ha nel tempo sottoscritto contratti di locazione relativi ad immobili destinati ad uffici o laboratori senza attenersi ai valori di mercato con un ulteriore danno erariale quantificato in oltre 506.000 euro».

Pure il bar non pagava l’affitto

Sotto la lente dei commissari prefettizi è finito anche «il bar posto all’interno di un nosocomio»: «A tal riguardo la relazione della commissione d’indagine pone in rilievo che l’azienda sanitaria non si è mai attivata né ha mai avviato procedure legali per il recupero dei canoni dovuti non versati dal gestore del servizio». E guarda caso, «il menzionato conduttore è risultato avere stretti legami familiari con esponenti delle più importanti consorterie mafiose locali».

“Mala gestio” anche per i distributori di bevande

È sulla “mala gestio”, termine ripetuto più volte nella relazione, che il ministro mette l’accento per motivare lo scioglimento. In questa malsana gestione dell’Ente, si fanno rientrare anche circostanze solo apparentemente minori rispetto a un quadro complessivamente disastroso. Come la gestione dei «distributori automatici di alimenti e bevande negli uffici e negli ospedali dell’Ente, attività che per decenni si è caratterizzata per l’assoluta assenza di legalità, con conseguenze sia in termini di esborsi per l’ente, in particolare per i costi dell’energia elettrica, solo parzialmente rimborsati, sia in termini di mancati introiti, con notevolissimi perdite economiche da parte dell’azienda sanitaria».

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Strutture convenzionate che non avrebbero potuto operare

Ma l’elenco che snocciola il ministero sembra non finire mai. Nell’ultima parte della relazione vengono evidenziati anche le criticità delle «attività connesse ai contratti stipulati con le strutture private accreditate che tuttora operano in convenzione con il servizio sanitario». In particolare, «viene riferito che dalle risultanze di una recente operazione di polizia è emerso che una struttura privata convenzionata – nei confronti della quale, peraltro, si rilevano “significativi elementi di contiguità con esponenti della criminalità organizzata” – per ben dieci anni, sebbene autorizzata e accreditata per l’esecuzione di prestazioni in diverse discipline, “avrebbe eseguito indebitamente prestazioni sanitarie chirurgiche di carattere ambulatoriale, in carenza per una determinata branca sia dell’autorizzazione sanitaria per l’esercizio sia dell’accreditamento con l’ente”.

Circostanze che, conclude il ministro, da cui emerge «il grave deficit gestionale dell’apparato dirigenziale». Da qui, è la chiosa finale, «la compromissione delle legittime aspettative della popolazione ad essere garantita nella fruizione di diritti fondamentali» e l’inevitabile richiesta di scioglimento, poi ratificata dal Consiglio dei ministri il 27 settembre scorso.

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