venerdì,Marzo 29 2024

Fusione tra Comuni vibonesi, l’unione per «l’efficienza» secondo “Progetto Valentia”

Il lungo Report, redatto dall’associazione definisce la proposta di unione tra Municipi il «nuovo fenomeno» per superare il sottodimensionamento dei governi locali. Si mira ad unire 13 paesi a Vibo

Fusione tra Comuni vibonesi, l’unione per «l’efficienza» secondo “Progetto Valentia”
Una panoramica di Vibo Valentia
Il Comune di Vibo Valentia

«La fusione dei Comuni è indicata in letteratura come la soluzione per superare il problema del sottodimensionamento dei governi locali, per accrescere l’efficienza e l’efficacia nella gestione delle funzioni assegnate, per riportare alla scala territoriale adeguata la programmazione dello sviluppo. È ovviamente più indicata per gli enti di piccola o di media dimensione, in cui è maggiormente necessario il salto di scala». [Continua in basso]

Apre così il quinto capitolo (“Il nuovo fenomeno della fusione dei Comuni”) contenuto nel lungo Report sulla fusione dei Comuni redatto dall’associazione “Progetto Valentia”, il sodalizio che ha lanciato la proposta di unire tredici enti locali del Vibonese (Pizzo; Mileto; Maierato; Jonadi; San Gregorio d’Ippona; Sant’Onofrio; San Costantino Calabro; Filandari; Briatico; Filogaso; Stefanaconi; Cessaniti; Francica) con il Comune capoluogo di Vibo Valentia per realizzare un grande ente territoriale, «al fine di mettere in atto – secondo i proponenti – un virtuoso processo di sviluppo socio-economico». Una idea, questa, che nelle ultime settimane ha alimentato, e non poco, il dibattito nell’opinione pubblica locale. Diversi, infatti, sono stati gli interventi – ognuno con i propri distinguo – da parte dei rappresentanti della politica, del sindacato, dell’associazionismo e della società civile. La proposta è stata anche portata (con una mozione d’ordine presentata da quattro consiglieri di opposizione) e discussa di recente in consiglio comunale a Vibo ed ha trovato pienamente favorevole il sindaco del capoluogo Maria Limardo. Adesso si attende che sulla vicenda venga redatto un apposito ordine del giorno, firmato da tutti i capigruppo consiliari di maggioranza e minoranza, che dovrà essere portato in aula per essere discusso e approvato.    

Le difficoltà della fusione

Sempre nel quinto capitolo del Report, i promotori del progetto di fusione tra enti locali nel territorio provinciale non mancano di sottolineare che «le fusioni sono estremamente difficili da realizzare, perché – è scritto – si scontrano contro identità consolidate e interessi molteplici e strutturati, per questo, in alcuni contesti si è deciso di scegliere la strada dell’associazionismo volontario incentivato (ad esempio, in Francia). L’Italia, per la sua lunga tradizione municipalista, non è certo un contesto in cui l’opzione della fusione imposta dal legislatore possa passare facilmente, per questo essa resta un processo volontario». [Continua in basso]

Il cambio di rotta

A partire dal 2014, però, si è registrato un cambiamento importante: le fusioni di Comuni – si legge sempre nel testo del Report – «da fenomeno inesistente in precedenza, si sono moltiplicate. È innegabile che la combinazione di vincoli alla spesa e obblighi di gestione associata, da un lato, e potenziamento degli incentivi monetari e non monetari, dall’altro, abbiano innescato un cambiamento, quel che resta dubbio, invece, è quanto il fenomeno sia destinato a crescere e a raggiungere numeri in grado di fare la differenza. A partire dal manifestarsi del nuovo fenomeno – è scritto ancora nel testo del documento dell’associazione “Progetto Valentia” – si è sviluppato un intenso dibattito, accademico e politico, su quali siano i suoi punti di forza e di debolezza rispetto alle forme collaborative e, soprattutto, i fattori territoriali, economici, sociali e istituzionali che possano favorirlo.  Al di là comunque di quelli che sono gli argomenti del dibattito, non esistono invece evidenze quantitative solide circa i fattori che favoriscono o, al contrario, rendono più difficile il processo di fusione, che rendano cioè prevedibile (almeno in termini probabilistici) l’esito del referendum».

Fenomeno ancora contenuto

L'aula consiliare di Palazzo "Luigi Razza"

Due in merito – secondo il sodalizio del capoluogo – sono i problemi: la dimensione «ancora contenuta del fenomeno, che non consente di avere un numero di osservazioni sufficienti per dedurre regole di comportamento generali, e, in secondo luogo, la mancanza di una raccolta dati sistematica (che potrebbe essere di competenza dell’Anci) su tutti i referendum effettuati. Infatti, negli elenchi ufficiali del Ministero degli Interni si trovano solo i Comuni che sono andati a fusione, cioè in cui il referendum ha avuto esito positivo. Ad esempio, dalla pubblicazione della lista degli enti beneficiari del Fondo Nazionale per i Comuni fusi, possiamo ricavare alcune informazioni importanti, oltre ovviamente al dato sugli incentivi spettanti, ma solo per i Comuni in cui il processo ha avuto esito positivo.  Se ne ricava – viene spiegato nel Report – che sui 37 nuovi Comuni presenti, 22 sono il risultato della fusione di 2 enti preesistenti, 6 della fusione di 3 enti, 2 di 4 e uno solo di 5. Al di là del dato intuitivo, per cui al crescere del numero degli enti coinvolti diviene più difficile raggiungere un accordo tra le parti, non è possibile portare evidenze quantitative più solide. A ciò si deve aggiungere anche il fatto che l’esito del referendum è influenzato anche dalle leggi regionali di interpretazione del voto che sono differenti: nello specifico i voti favorevoli possono essere contati per singolo Comune di partenza o nell’intero bacino interessato dalla consultazione». [Continua in basso]  

La fusione per avere risparmi e servizi di qualità

La fusione tra i Comuni, in buona sostanza, a parere dei rappresentanti dell’associazione “Progetto Valentia”, «genera capacità di risparmio, a parità di standard dei servizi. Nella fattispecie il risparmio riguarda le spese per gli organi politici, il segretario comunale e gli organi di controllo. Vi è altresì risparmio sulle funzioni di back-office ovvero sulla segreteria, sulla ragioneria, sul personale, sull’informatica».  

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