“Rimborsopoli”, Grillo sul rinvio a giudizio: «Sorpreso ma sereno»
L’ex consigliere regionale si dichiara fiducioso in una positiva risoluzione della vicenda giudiziaria che lo vede coinvolto. «Per un anno ho chiesto di essere ascoltato e fornire le “pezze giustificative” di quelle spese»
«Quasi sempre le indagini preliminari sfociano in un rinvio a giudizio, specialmente per fatti che, di questi tempi, attengono l’utilizzo dei fondi pubblici da parte della politica. Per questo non sono sorpreso dalla scelta del giudice, anche se in cuor mio coltivavo la possibilità che il procedimento si concludesse qui».
A riferirlo in una nota è l’ex consigliere regionale Alfonso Grillo, recentemente rinviato a giudizio nell’ambito dell’inchiesta “Rimborsopoli” sui rimborsi dei gruppi consiliari della Regione Calabria.
«Ciò che si legge sulla stampa – argomenta Grillo -, circa le contestazioni mosse sulla mia persona, relativamente alla mancata esibizione delle “pezze giustificative” allegate ai contributi e alle spese di segreteria è riportata negli atti investigativi, quindi è vero. Ma è altrettanto vero, e sarebbe anche corretto ammettere, che le stesse erano detenute dal sottoscritto e che, quindi, nella fase preliminare delle indagini, nessuno poteva trovarle negli uffici del consiglio regionale in cui è avvenuta l’acquisizione da parte degli inquirenti, era a me che bisognava chiederle».
E ancora, «per un anno intero ho avanzato proposta per essere ascoltato e per fornire ciò che nessuno ha pensato di chiedermi, allo scopo di chiarire la mia posizione e colmare quella lacuna investigativa. Ecco perché ritengo assurdo, e, anche sconcertante, sentir parlare di mancata esibizione di “alcuna pezza giustificativa”, avendo offerto agli inquirenti non solo le pezze giustificative di ogni singola spesa ma addirittura anche le deposizioni dei rappresentati degli enti beneficiari dei contributi che si sono sentiti il dovere di testimoniare».
Per Gillo: «non è di rimborsi di scontrini, cene, alberghi, viaggi, schede telefoniche, o di stranezze varie che stiamo parlando, ma più semplicemente di finanziamenti di attività istituzionali pubbliche e religiose, o di associazioni senza fini di lucro, impegnate, su territorio regionale, per l’assistenza, la promozione culturale, l’organizzazione di attività ludiche e sportive, e, finanche, di attività mirate al contrasto della criminalità organizzata».
La fase dibattimentale «mi offrirà la possibilità di chiarire ogni aspetto, e dimostrare la mia correttezza delle azioni e limpidezza delle intenzioni. Chi mi conosce sa di cosa sto parlando. Non faccio fatica a confermare che rifarei ogni azione, a costo di dover rimborsare personalmente ogni singolo centesimo. E ciò non perché, quanto finanziato è, come riconosciuto dalla corte dei conti con sentenza 83/2017, legittimo sul piano legislativo, vedi legge regionale – n. 13/2002 – ma principalmente perché “eticamente” ammissibili. Mi domando in cosa si configurerebbe il reato di peculato atteso che non un solo centesimo è mai entrato nelle mie tasche, anzi, là dove è stato necessario non ho esitato a metterci del mio pur di favorire le attività del gruppo di appartenenza e del territorio. Per tale motivo non mi sento affatto preoccupato, e confido nella giustizia. E quindi continuerò il mio impegno pubblico con la stessa passione di sempre, nella convinzione che la verità per sua natura viene sempre a galla».
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