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I “Vrazza”, un dolce pasquale tipico di Drapia la cui storia risale al terremoto del 1908

Un piccolo gesto di immensa gratitudine che, dalla miseria dell'epoca, è divenuto simbolo della sagra del dolce di Gasponi

I “Vrazza”, un dolce pasquale tipico di Drapia la cui storia risale al terremoto del 1908
La devastazione in una foto dell’epoca

Durante il periodo di Pasqua anche il Sud Italia fa sfoggio delle sue prelibatezze culinarie. Uno dei dolci più particolari, se vogliamo di nicchia, lo si ritrova proprio nella tradizione dolciaria di Drapia. Stiamo parlando dei “Vrazza” (braccia), la cui origine affonda in uno dei periodi più tristi della società italiana all’indomani del devastante terremoto che nel 1908 colpì duramente Reggio Calabria e Messina. Era infatti la mattina del 28 dicembre quando, poco dopo le ore 5, un sisma di magnitudo 7.1 provocò devastanti crolli tra la Sicilia orientale e la Calabria meridionale. L’evento considerato il più catastrofico del XX secolo, in circa 37 secondi sfigurò completamente le due città, i territori limitrofi e causò la morte di circa 120mila persone. Quell’evento che colpì al cuore l’Italia, la rese una famiglia unita. Tutto il Sud fu inondato dalla solidarietà delle genti del Nord che partirono, come angeli, per soccorrere e aiutare a ricostruire quanto andato perduto. E le tracce di questo grande moto di fratellanza sono tutt’ora tangibili nella piccola comunità di Drapia e Gasponi, anche se il tempo ne ha affievolito i ricordi e i più giovani quasi disconoscono questo importante tassello di umanità e il prezioso scambio culturale che letteralmente avvenne all’epoca. [Continua in basso]

I “Vrazza” prima della cottura

Ed è proprio in questo contesto storico così tragico che un piccolo seme di conforto dalla miseria e dai lutti, trovò terreno fertile per attecchire e subito fiorì. Ancora oggi le nonne tramandano il racconto dell’arrivo di un ingegnere bolognese, il quale raggiunse le comunità di Drapia e Gasponi per contribuire alla ricostruzione del centro abitato di quest’ultima. Bisognava rimboccarsi le maniche e rifare quella che tutt’oggi si chiama ancora zona baracche. Quest’ingegnere, un tipo alla mano e bonaccione come i bolognesi doc, legò immediatamente con gli abitanti del posto che, ospitandolo per condividere quel poco che avevano, in segno di accoglienza e profonda gratitudine, iniziarono a conoscerlo sempre più a fondo. E le donne del paese, come segno di grande riconoscenza per quanto stesse facendo per la comunità intera, iniziarono a indagare su quale fosse il suo dolce preferito tra quelli tipici emiliani per tentare di omaggiarlo replicandone uno. Così, carpendo qualche indizio e senza mai farsi scoprire, le donne si riunirono un giorno al forno del paese e senza disporre di alcuno strumento iniziarono laboriosamente ad ingegnarsi. Presero quindi lo strutto, poiché quasi ogni famiglia possedeva e macellava maiali e unendolo allo zucchero, che non venne a mancare nonostante la tragedia, lo lavorarono a mano energicamente per diversi minuti fino a renderlo spumoso. Poi aggiunsero le uova, largamente disponibili, il latte appena munto e la farina anch’essa in abbondanza poiché quella un tempo era zona di mulini. Infine, grattugiarono la scorza di alcuni limoni e, sfruttando il calore emanato dalla bocca del forno a legna, sciolsero in ultimo il cremor tartaro, un composto chimico antesignano del lievito per dolci. Crearono così un composto del tutto nuovo anche per loro. Ma l’amore e la buona volontà furono la chiave di tutto. Presero poi le “lande”, le teglie da forno dell’epoca, srotolarono sopra la carta dei sacchi in cui veniva all’epoca confezionata la pasta e ci adagiarono il composto profumato.

Il dolce tipico una volta cotto

Il nome di questo dolce tipico locale nacque proprio dalle gesta con cui fu creato, poiché distendendo l’impasto gli venne data la forma di due braccia. Prima d’essere infornato, fu cosparso in superficie di zucchero e poi tutto venne affidato al caso. Il profumo che poco dopo uscì da quella bocca di forno riempì di gioia tutte le donne, tanto curiose di assaggiare il risultato di questo esperimento quanto di sottoporlo all’illustre ospite. Inutile dire quanto ne fu lusingato e quanta bontà avesse quel dolce che da allora divenne parte integrante della tradizione dolciaria gasponese. Esso, infatti, rivisitato nella sua ricetta originale ma mai nel procedimento rappresentò fino a un trentennio fa il dolce delle ricorrenze più importanti. Ogni famiglia in occasione di battesimi, prime comunioni, cresime e matrimoni si adoperava per realizzare questa prelibatezza che, da allora, sulle tavole non è mai mancato. Col tempo è divenuto un dolce tipico pasquale e la sua importanza e longevità, oltreché la sua bontà genuina, lo hanno reso il principale protagonista della ultra trentennale sagra del dolce che si organizza ogni anno a Gasponi il 13 agosto. Un evento che mobilita le massaie, oggi come allora, per realizzare secondo la ricetta originale i “Vrazza”, con l’immancabile appuntamento al forno dove si attende con trepidante attesa il risultato della loro operosità.

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