martedì,Aprile 30 2024

Una scheggia di metallo conficcata nella coscia, ma a Vibo l’intervento può attendere – Video

L'episodio ha lasciato tanta amarezza e sconforto nel giovane operaio del Vibonese che è stato operato al Pugliese di Catanzaro

Una scheggia di metallo conficcata nella coscia, ma a Vibo l’intervento può attendere – Video

Una scheggia di metallo nella coscia ma a Vibo lo mandano via: «Torni dopo Pasqua»«. È la disavventura accorsa a un giovane operaio del Vibonese. L’incidente si verifica venerdì della scorsa settimana mentre il giovane gommista è al lavoro. Accompagnato dal datore di lavoro l’operaio viene rimbalzato da una struttura sanitaria a un’altra. Prima al pronto soccorso dello Jazzolino di Vibo Valentia. Da qui viene spedito alla guardia medica di Zungri, ma non ci sono le strumentazioni adatte, gli viene consigliato di recarsi al nosocomio di Tropea, ma neppure qui si può intervenire. Dolorante, con un pezzo di ferro conficcato nella coscia, viene rimandato a Vibo, ma ormai è notte fonda, bisogna ritornare il giorno dopo. E così sabato mattina, il chirurgo, dopo un attento controllo, si limita a prescrivere i farmaci: antitetanica e antibiotico, in attesa di un intervento che può attendere anche dopo le festività pasquali. «Se però si dovesse infettare interverremo», avrebbe aggiunto il medico.
È lunedì mattina. I dolori sono lancinanti e allora i genitori del giovane decidono di accompagnarlo all’ospedale Pugliese di Catanzaro, dove, dopo gli esami del caso, l’intervento viene programmato per il giorno successivo. «I medici del Pugliese erano increduli quando gli ho riferito che l’intervento per l’estrazione della scheggia era stato rinviato dopo Pasqua», prosegue il giovane che decide di mantenere l’anonimato.
Un episodio che lascia tanta amarezza e sconforto nel giovane operaio che al momento non intende sporgere denuncia, ma solo rendere pubblica la sua disavventura. Un semplice intervento per l’asportazione di una scheggia si è trasformato in uno scaricabarile tra medici: «Sono stati superficiali – dice – il mio problema in fondo non era così grave, bastava semplicemente intervenire invece di rimpallarsi la responsabilità di agire». 

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