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Le regole della ‘ndrangheta a Vibo nel racconto del pentito Arena

Dal picciotto alle doti più elevate, il collaboratore svela i segreti del clan Lo Bianco ed i ruoli dei boss nei riti di affiliazione

Le regole della ‘ndrangheta a Vibo nel racconto del pentito Arena
Bartolomeo Arena

Risale al 18 ottobre scorso uno dei primi verbali resi dal nuovo collaboratore di giustizia di Vibo Valentia, Bartolomeo Arena e confluito nell’operazione “Rinascita-Scott”. Un verbale “illuminante” che spiega dal di dentro legami, riti e ruoli di diversi personaggi del clan Lo Bianco e la divisione della città in tre diverse ‘ndrine. Arena parte dal ritrovamento ad opera della polizia di un manoscritto contenente la “copiata” (cioè i tre nomi che ogni affiliato deve portare all’atto del conferimento di una nuova dote mafiosa) che portava suo cugino Giuseppe Camillò. Si trattava dei nominativi del boss di Ariola di Gerocarne, Antonio Altamura, del boss di Rosarno Giuseppe Bellocco e del boss di Marina di Gioiosa Ionica, Rocco Aquino. Le doti conferite a Giuseppe Camillò ed allo stesso Bartolomeo Arena sarebbero state quelle del trequartino e poi del vangelo. [Continua dopo la pubblicità]

“A 16 anni mi dovevano fare picciotto ma siccome ero troppo scalmanato – racconta Arena – mi hanno rinviato all’età di 22 anni ma quando è arrivato il momento della mia affiliazione, siccome non condividevo il fatto che i Lo Bianco-Barba erano sotto i Mancuso, non volli essere affiliato”.

Enzo Barba

Il momento dell’affiliazione arriverà in ogni caso qualche tempo dopo. “Venne battezzato il Locale con la tipica formula e successivamente mi venne fornita la dote del picciotto ed anche quella della camorra, con la pronuncia della relativa formula di iniziazione che per la camorra prevedeva la fuoriuscita di sangue dal braccio .attraverso la pungitura. Dopo lo sgarro – ricorda Bartolomeo Arena – ho avuto la santa, concessami dopo la riunione del Locale con i Lo Bianco: la messa la disse Carmelo D’Andrea ed erano presenti Nicola Lo Bianco e Fortunato Lo Bianco, la mia copiata era Enzo Barba, Antonio Macrì e Carmelo D’Andrea. In tale copiata, contrariamente alla regola, non era presente il nominativo della provincia in quanto i Lo Bianco tendevano a fare le cose in questo modo ed in effetti per la dote della Santa ci poteva ancora stare”.

Carmelo Lo Bianco “Piccinni”

Bartolomeo Arena svela quindi che il defunto boss Carmelo Lo Bianco, detto “Piccinni”, era solito inserire nelle “copiate” il nome di qualcuno degli Alvaro di Sinopoli e talvolta anche i Mancuso (Luigi Mancuso). “Insieme a me fu concessa la Santa – spiega Bartolomeo Arena – anche a Giuseppe Camillò ed a Carmelo Pardea. Dopo il distacco dai Lo Bianco, con il consenso di Domenico Camillò e Raffaele Franzè mi fu dato il Vangelo della cui copiata ricordo Luca Sorace ed un Morabito, non la ricordo completamente ma è la stessa copiata rinvenuta dalla polizia a Giuseppe Camillò. La messa per il conferimento del Vangelo fu celebrata da Antonio Pardea ed era presente Salvatore Morelli il quale mi ha tagliato sulla spalla destra, dove oggi ho un tatuaggio raffigurante San Michele Arcangelo.  Per quanto concerne la dote del Trequartino mi fu data con il benestare di Domenico Camillò e Raffaele Franzè in quanto erano gli unici che rispondevano a Polsi.

Raffaele Franzè

Nel corso della medesima riunione in cui mi fu dato il Vangelo, mi venne dato pure il Trequartino, seppur per regola sarebbe dovuto trascorrere un pò di tempo, infatti fu indicata una data differente nelle due copiate. Nella copiata del Trequartino data a Giuseppe Camillò c’erano di nominativi Antonio Altamura di Ariola, Giuseppe Bellocco di Rosarno e Rocco Aquino di Marina di Gioiosa Ionica. Nella mia vi erano Domenico Camillò, Umberto Bellocco e Rocco Aquino”. Domenico Camillò, detto “Mangano”, è lo zio di Bartolomeo Arena, mentre Raffaele Franzè, detto “Lo Svizzero” (contabile del clan Lo Bianco) è deceduto lo scorso anno.

“Con riguardo alla struttura di ‘ndrangheta di Vibo Valentia, alla quale ero affiliato posso riferire – racconta Arena – in ordine alle sue regole ed a quelle dell’intera organizzazione denominata ‘ndrangheta. Per quanto riguarda l’affiliazione di un nuovo componente al sodalizio, quest’ultimo una volta manifestata l’intenzione di diventare ‘ndranghetista ad un soggetto che già sa appartenere al sodalizio, viene-condotto da un sodale, il quale a sua volta può chiedere al futuro affiliato di rivolgersi ad altro affiliate o anche al boss, così si passa parola che il giovane sta chiedendo un Fiore. In tale contesto il giovane potrebbe essere messo alla prova per verificare le sue capacità criminali, e quindi gli può essere chiesto di compiere qualche azione criminale. Così facendo, da contrasto onorato si diventa giovane d’onore, ovvero il giovane è in procinto di diventare un futuro picciotto, già accettato dal sodalizio. Questo non è stato il mio percorso iniziale in quanto io già provenivo da una famiglia di ‘ndrangheta ed avevo già fatto azioni ed accoltellamenti. Successivamente vi è il rituale di affiliazione e si diventa picciotto, dopo vi è la camorra e poi lo sgarro.

Antonio Pardea e Bartolomeo Arena

Un tempo vi era la dote di picciotto di sgarro che veniva conseguita solo se si era reso autore di omicidio. Mio padre è stato il primo della provincia di Vibo Valentia a conseguire tale dote. Io ho conseguito la dote di picciotto e di camorrista nello stesso momento. Per ottenere lo sgarro bisogna macchiarsi di sangue, rendersi autori di sparatorie o accoltellamenti. Fino alla dote dello sgarro si appartiene alla Società minore, tuttavia lo sgarrista può interloquire, oltre che con la Minore, anche con la Società maggiore. Tuttavia, personalmente, io sin da sgarrista partecipavo a riunioni tra uomini della Maggiore in quanto per me garantiva mio zio Camillò Domenico. Un tempo con la dote dello sgarro veniva indicato già un componente della Società maggiore, anche perché non vi erano doti superiori. Ciò fin quando non vennero introdotte le doti dalla Santa in poi. Ciò valeva finché nella ‘ndrangheta predominavano Mico Tripodo e Antonio Macrì del Reggino. La dote della Santa può essere mantenuta per breve tempo, al massimo sei mesi, ma a Vibo Valentia in maniera anomala veniva lasciata anche un paio di anni. Con la dote della Santa – ricorda ancora Bartolomeo Arena – allo ‘ndranghestista è consentito avere contatti con esponenti delle istituzioni e persino con le forze dell’ordine”.

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