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Pizzo, la chiesetta di Piedigrotta e le statue scomparse. Lo storico Montesanti: «Le prove in un reportage degli anni ‘50»

Il lavoro del fotoreporter Patellani restituisce un tassello di storia locale. Ad andare perdute per sempre, infatti, furono le statue raffiguranti gli scultori Angelo Barone e il figlio Alfonso: «Un’assenza che pesa sulla paternità dell'opera artistica»

Pizzo, la chiesetta di Piedigrotta e le statue scomparse. Lo storico Montesanti: «Le prove in un reportage degli anni ‘50»
L'interno della chiesa di Piedigrotta a Pizzo

Una chiesetta scavata nell’arenaria che richiama visitatori da ogni angolo della Calabria e non solo. Piedigrotta rappresenta uno dei siti di punta di Pizzo. Qui storia, leggende e fede si mixano perfettamente donando all’area un fascino senza tempo. Si racconta che la piccola chiesetta venne edificata nel Seicento da alcuni marinai che, sorpresi da una tempesta, ebbero salva la vita. Qui collocarono la sacra effigie della Madonna che li aveva accompagnati durante il viaggio. Tra ‘800 e ‘900, la cappella venne ingrandita grazie al lavoro dell’artista locale Angelo Barone e del figlio Alfonso. Tuttavia, negli anni sessanta, a seguito di un danneggiamento (scaturito da una lite in spiaggia tra giovani che ebbe pesanti ripercussioni sulla chiesetta), un nipote degli scultori originari si prodigò per riportare il sito all’antico splendore. Ma c’è una curiosità che ben pochi sanno. A raccontarla, l’artista e appassionato di storia locale, Antonio Montesanti. Al centro, il caso delle statue scomparse dei suoi creatori. Ma andiamo per ordine.

Piedigrotta e il reportage degli anni Cinquanta

L’analisi di Montesanti parte da un reportage realizzato nel maggio del 1952 per il “Tempo” di Milano da Federico Patellani (1911 – 1977), fotoreporter di guerra e caposcuola del fotogiornalismo in Italia: «Divenne noto per i suoi reportage tematici sulla ripresa della società italiana nel dopoguerra introducendo nella stampa un fotogiornalismo “colto”, che invitava a riflettere sui rischi del veloce mutamento della società italiana». Tra le tappe della sua carriera dove realizzò un approfondimento sulla chiesetta di Piedigrotta: «Le sue foto-riprese, il suo scritto, risultano ovviamente di grande fascino ma per noi che amiamo questi luoghi – aggiunge lo storico – vi troviamo inedite e preziose testimonianze documentali che attestano le condizioni e il senso dell’intero ciclo scultoreo creato da Angelo ed Alfonso Barone».

Quando il professionista giunse in terra calabra, Alfonso Barone era passato a miglior vita: «Attratto dai gruppi scultorei (conta circa 80 statue), dalle espressioni cangianti ad ogni spostamento dei raggi di sole che filtrano dalle aperture della grotta, Patellani avvia una ricerca su quei due geniali autori. Così intervista gli abitanti del luogo, i pescatori e ogni persona che giungeva alla chiesetta per una preghiera o per devozione. Domanda, scrive, fotografa con entusiasmo». Il lavoro da lui realizzato consegna un’istantanea del sito: «Quel fotoreportage del 1952, confrontato con le condizioni attuali della chiesetta – fa notare Montesanti – testimonia una consistenza scultorea maggiore di quella di oggi, per via di un disgraziato evento distruttivo della metà degli anni ’60 che ne ha compromesso la bellezza e la giusta lettura interpretativa».

Il caso delle statue mancanti

Il quadro della Madonna di Piedigrotta, foto dalla pagina fb Chiesetta di Piedigrotta

A catturare l’attenzione dello storico Montesanti, il gruppo scultoreo detto “Comunione”, «nel quale è proprio l’assenza di due statue rende l’opera priva del messaggio di fede che Alfonso Barone voleva tramandare ai posteri. Il confronto della stessa scena tra la foto di Patellani del 1952 con quella attuale – spiega – è davvero sorprendente, reso ancor più disarmante dalle parole del fotoreporter che nella didascalia descrive la presenza delle due statue oggi ahimè mancanti: in ginocchio è ritratto Angelo Barone (indicato col n. 1) nell’atto di ricevere l’eucarestia dal caro fratello Carmine, apprezzato parroco della città. Sicuramente questa scultura fu eseguita dal figlio Alfonso che non mancò nemmeno di scolpire anche sé stesso (indicato col n. 2) , poco distante dal padre, nella stessa scena, mentre dialoga con un angelo».

Per l’artista napitino non ci sono dubbi: «Grazie alle testimonianze raccolte tra il marzo e l’aprile del 1952 Patellani attribuisce le due statue – che fotografa e che oggi mancano nel gruppo scultoreo – dei due distinti uomini barbuti e canuti, ben vestiti con giacca, cravatta e doppiopetto, ad Angelo e Alfonso Barone. Grazie alle sue foto è oggi possibile rivederli come se fossero ancora là, integri in quel contesto. E purtroppo la loro assenza – fa rilevare Montesanti – non solo pesa nella completa lettura della scena ma pesa ancora più perché ne rimuove simbolicamente la memoria e la paternità dell’opera artistica».

Per lo storico si tratta di una inattesa scoperta che “obbliga moralmente” «la comunità pizzitana ad un’opera di risarcimento verso questi artisti, rimediando a questa accidentale “damnatio memoriae” con la creazione delle due statue mancanti e ricollocando così Angelo ed Alfonso Barone al loro posto, dentro la chiesetta di Piedigrotta, per come era loro volontà. Se non fosse stato per il lavoro di Patellani, nessuno si sarebbe accorto dell’assenza. Eppure per realizzare le statue in arenaria basta solo la volontà».

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