
Rinascita Scott: i profili ed i ruoli dei 13 imputati per i quali la Dda ha chiesto 30 anni di carcere

Rinascita Scott: i profili ed i ruoli dei 13 imputati per i quali la Dda ha chiesto 30 anni di carcere

Rinascita Scott: i profili ed i ruoli dei 13 imputati per i quali la Dda ha chiesto 30 anni di carcere

Rinascita Scott: i profili ed i ruoli dei 13 imputati per i quali la Dda ha chiesto 30 anni di carcere
Sono 13 gli imputati del maxiprocesso Rinascita Scott per i quali la Dda di Catanzaro, guidata dal procuratore Nicola Gratteri, ha chiesto il massimo della pena, cioè 30 anni di reclusione. Si tratta di soggetti collocati in molti casi al vertice di strutture mafiose, indicati quali capi, promotori ed organizzatori di un’associazione mafiosa. Ecco di chi si tratta, il loro profilo e le accuse per le quali si trovano sotto processo.

Francesco Barbieri, 58 anni, alias “Carnera”, viene indicato come il capo ‘ndrina di Cessaniti, struttura di ‘ndrangheta inserita nel “locale” di Zungri con al vertice il boss Giuseppe Accorinti; Francesco Barbieri è residente nella frazione Piana Pugliese di Cessaniti, Francesco Barbieri è accusato del reato di associazione mafiosa, ritenuto un capo cosca con compiti di decisione e pianificazione delle strategie e degli obiettivi da perseguirsi e delle azioni delittuose da compiere, gestendo i rapporti con i gruppi rivali ed agendo in diretto contatto con Giuseppe Accorinti. In tal modo, Francesco Barbieri avrebbe avuto il controllo assoluto della zona di Cessaniti e Pannaconi, riscuotendo somme a titolo estorsivo, dirimendo controversie anche tra associati, compiendo reati volti a garantire al sodalizio proventi illeciti, prestigio ed autorevolezza fra la popolazione locale, attraverso il mantenimento di un ordine “mafioso” sul territorio, nonché infiltrandosi nell’economia locale. Le indagini hanno inoltre permesso di accertare che le attività edili (ditta individuale “Surace Cristian” e ditta individuale “La Piana Giuseppe) con sede a Cessaniti “risultano essere nella disponibilità di Barbieri Francesco e fittiziamente” intestate ai “compiacenti Cristian Surace, 30 anni, e Giuseppe La Piana, 40 anni, entrambi di Cessaniti e nipoti di Francesco Barbieri in quanto figli di due sue sorelle. Per La Piana e Surace la Dda ha chiesto 6 anni di reclusione a testa per intestazione fittizia di beni aggravata dalle finalità mafiose. Francesco Barbieri avrebbe guidato il clan con accanto il fratello Antonino, 64 anni, di Pannaconi di Cessaniti, nei cui confronti la Dda ha chiesto 20 anni di reclusione. Antonino Barbieri è il cognato di Giuseppe Accorinti, in quanto sposato con Domenica Accorinti. [SCORRI IN BASSO E CLICCA SU “AVANTI” PER CONTINUARE A LEGGERE GLI ALTRI PROFILI]

Ci sono poi i fratelli Pasquale, Domenico e Nicola Bonavota, di 49, 44 e 47 anni, di Sant’Onofrio e per loro tre l’accusa ha chiesto 30 anni di reclusione a testa, mentre per il quarto fratello – Salvatore Bonavota, di 35 anni – la dda ha richiesto 24 anni di reclusione. Vengono collocati tutti al vertice dell’omonimo clan di Sant’Onofrio (fondato dal padre Vincenzo, deceduto nel 1997) con Domenico Bonavota indicato quale “mente criminale ed organizzatore di omicidi” e il fratello Pasquale quale “capo società” pur avendo trasferito i suoi affari lontano da Sant’Onofrio (Roma e Piemonte). A capo dell’ala imprenditoriale della famiglia e con il compito di mantenere i contatti con le ‘ndrine distaccate presenti in Liguria e Piemonte, viene invece posto Nicola Bonavota, imputato in Rinascita-Scott anche per le presunte intestazioni fittizie di un bar-sala scommesse a Sant’Onofrio e di una tabaccheria a Pizzo.

Anche per Domenico Cugliari, 64 anni, detto “Micu i Mela”, di Sant’Onofrio, la Dda di Catanzaro ha chiesto 30 anni di reclusione. Avrebbe da sempre un ruolo di primo piano all’interno del clan ed è il fratello della madre dei fratelli Pasquale, Domenico, Nicola e Salvatore Bonavota, “Dalle risultanze investigative acquisite – ha scritto il gip distrettuale di Rinascita Scott – emerge che Domenico Cugliari si è trasferito da tempo in provincia di Torino unitamente ai figli, luogo dove si ritiene sia stata costituita un’articolazione della consorteria mafiosa, mantenendo comunque i contatti con il paese di origine, pur prestando molta attenzione a non intrattenere contatti telefonici con i propri nipoti Bonavota. Dall’ascolto dell’attività captativa è emerso come Domenico Cugliari e la sua famiglia stiano investendo in maniera considerevole in Piemonte, acquistando immobili e rilevando attività commerciali. In particolare è emerso come la famiglia Cugliari gestisca in provincia di Torino un fiorente mercato di compravendita di autovetture importate anche dall’estero, un forno, un bar ed un’autocarrozzeria”. [SCORRI IN BASSO E CLICCA SU “AVANTI” PER CONTINUARE A LEGGERE GLI ALTRI PROFILI]

Già condannato in via definitiva quale capo ‘ndrina di Tropea, anche dopo aver scontato la pena per l’operazione “Peter Pan”, Antonio La Rosa, 62 anni, alias “Ciondolino” avrebbe continuato imperterrito a guidare il proprio clan. Per questo anche per lui la Dda di Catanzaro ha chiesto 30 anni di reclusione. Opererebbe in costante collegamento con il clan di Limbadi, anche grazie al raccordo posto in essere da Domenico Polito, 59 anni, altro soggetto ritenuto di peso nella “geografia” criminale della zona e per il quale la Dda ha chiesto 20 anni di reclusione. Antonio La Rosa è accusato di aver individuato personalmente gli obiettivi da colpire a Tropea, anche attraverso la selezione delle attività commerciali da sottoporre ad estorsione, nonché disponendo dei propri affiliati ai quali indicare le azioni da compiere, dirimendo in prima persona i contrasti coinvolgenti i propri sodali.

A rischiare 30 anni di reclusione ci sono poi tre figure ritenute di elevato spessore criminale nella città di Vibo Valentia: Paolino Lo Bianco, innanzitutto, 60 anni, il quale avrebbe ereditato il “bastone” del comando dell’omonimo clan dal padre Carmelo (cl ’32), deceduto nel 2014 in ospedale a Parma in stato di detenzione all’età di 82 anni. Era già stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa nel processo “Nuova Alba”. Scontata la pena, però, Paolino Lo Bianco avrebbe continuato nelle proprie attività criminali, tanto da divenire un bersaglio da colpire nelle intenzioni di Mommo Macrì, altro personaggio di Vibo Valentia condannato a 20 anni di reclusione nel processo Rinascita Scott celebrato con il rito abbreviato. Per il padre di Mommo Macrì, ovvero Antonio Macrì, 65 anni, di Vibo Valentia, la Dda ha ora chiesto 30 anni di reclusione, venendo indicato come una delle figure di vertice del nuovo “locale” di ‘ndrangheta di Vibo Valentia – nato dopo le scarcerazioni di “Nuova Alba” – e poi a capo della ‘ndrina dei Macrì-Camillò distaccatasi dai Lo Bianco.

Il massimo della pena è stato chiesto anche nei confronti di Rosario Pugliese, 57 anni, posto a capo della ‘ndrina dei “Cassarola”, dal soprannome della famiglia Pugliese con competenza criminale nel quartiere Affaccio di Vibo Valentia Già coinvolto nel 2007 nell’operazione antimafia “Nuova Alba” quale elemento di spicco del clan Lo Bianco, Rosario Pugliese era stato però clamorosamente assolto in appello dall’accusa di associazione mafiosa; Viene ora indicato quale capo e direttore del sodalizio, con compiti decisionali e rappresentativi per l’intera ‘ndrina dei “Cassarola”, impartendo disposizioni ai vari sodali, coordinandone le attività e occupandosi direttamente delle attività estorsive e del controllo del territorio. [SCORRI IN BASSO E CLICCA SU “AVANTI” PER CONTINUARE A LEGGERE GLI ALTRI PROFILI]

La condanna a 30 anni è stata chiesta pure per Saverio Razionale, 62 anni, di San Gregorio d’Ippona che viene collocato in Rinascita Scott al vertice del clan unitamente al capo storico Rosario Fiarè (deceduto nel corso del processo) e Gregorio Gasparro (condannato a 16 anni in abbreviato). Saverio Razionale sarebbe stato, secondo l’accusa, permanentemente deputato alla gestione economico-finanziaria della struttura mafiosa, con collegamenti anche a Roma, venendo sostituito temporaneamente sul territorio di San Gregorio da Gregorio Gasparro, alias “Ruzzu u Gattu”. Razionale e Gasparro avrebbero mantenuto un raccordo operativo con gli altri clan della ‘ndrangheta. Razionale, inoltre, è accusato di essere un esponente apicale del “direttorio” criminale dell’intera area del Vibonese, operando in diretto e stretto rapporto con i boss Luigi Mancuso di Limbadi e Giuseppe Accorinti di Zungri, mantenendo anche rapporti con “colletti bianchi” come l’avvocato Giancarlo Pittelli.

A gestire gli affari illeciti nella zona di Capo Vaticano e nel comune di Ricadi sarebbe stato invece Agostino Papaianni, 72 anni, di Coccorino di Joppolo Gli viene attribuito il ruolo di capo clan, in stretto raccordo con Luigi Mancuso del quale sarebbe stato uno storico fedelissimo. Da Agostino Papaianni sarebbero passate le imposizioni nei villaggi turistici dell’intero comprensorio di Capo Vaticano con il rifornimento di generi alimentari (frutta, principalmente) e l’assunzione di personale. Secondo i collaboratori di giustizia, la figura di Agostino Papaianni (titolare anche di un impianto di carburanti a Tropea) sarebbe stata talmente importante nella ‘ndrangheta che il suo nome sarebbe stato usato nelle “copiate” all’atto dell’affiliazione o delle “cerimonie” per il passaggio ai gradi mafiosi superiori da parte degli affiliati. Sotto processo si trova anche Giuseppe Papaianni, figlio di Agostino, per il quale la Dda di Catanzaro ha invece chiesto la condanna a 10 anni di reclusione.

Strettamente collegati a Giuseppe Accorinti ed al “locale” di ‘ndrangheta di Zungri vengono infine indicati Antonio Vacatello, 59 anni, di Vibo Marina – che avrebbe operato principalmente proprio in tale zona occupandosi di estorsioni, danneggiamenti e stupefacenti – e Valerio Navarra, 30 anni, di Pernocari di Rombiolo. Quest’ultimo viene indicato come un fedelissimo del boss Peppone Accorinti, agendo per suo conto principalmente nel traffico di sostanze stupefacenti su larga scala, dalla marijuana alla cocaina; negli ultimi tempi, Valerio Navarra si era trasferito a Montecatini per gestire formalmente una pizzeria, occupandosi però anche dalla Toscana di narcotraffico insieme ai narcos albanesi: rischia pure lui 30 anni di reclusione [GUARDA IN BASSO LE FOTO]















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